L’arte in Liguria tra le due guerre mondiali

E. Prampolini, G. Rosso, Ingresso e biglietteria della Prima Mostra Nazionale di Plastica Murale, Genova, 1934 – Fonte: Eva Ori, Tesi di laurea su Enrico Prampolini, 2014

[…] All’inizio degli anni Venti, la cultura simbolista sembra comunque permeare ancora le arti figurative liguri, inaugurando un decennio durante il quale, tuttavia, un graduale processo di semplificazione, nonché il recupero di valori plastici e figurativi avrebbero determinato sia un avvicinamento ai modi del realismo magico (Domenico Guerello, Pietro Dodero), sia, soprattutto, un’adesione al novecentismo.
La presenza in Liguria di personalità come Arturo Tosi e Alberto Salietti e, più saltuariamente, di Ubaldo Oppi, Achille Funi e di Arturo Martini, per la scultura, favorirono questo processo, evidente non soltanto nelle opere di Antonio Giuseppe Santagata, Oscar Saccorotti, Eso Peluzzi, Emanuele Rambaldi, ufficialmente presenti ad alcune delle esposizioni ufficiali promosse da Margherita Sarfatti, ma anche nell’opera di altri artisti, quali Pietro Dodero, Amighetto Amighetti, Alberto Helios Gagliardo.

Arturo Tosi, Ponte di Zoagli (Bridge of Zoagli), 1937. Oil on canvas. 27.6 x 35.4 in. Museum of Contemporary Art of the University of São Paulo (MAC USP) – Fonte: selvajournal.org

L’attaccamento ai temi del paesaggio locale, che connota la pittura ligure negli anni Venti e Trenta, oltre a rappresentare un forte legame con una tradizione ottocentesca e tardottocentesca mai del tutto tradita, costituì un potente antidoto nei confronti di pericolose cadute nella retorica e nel classicismo, via via sempre più graditi ai contesti ufficiali e di regime, garantendo, nei casi migliori, espressioni di un lirismo autenticamente vissuto.
La stagione della scultura tra le due guerre fu invece dominata, oltre che dai già ricordati De Albertis e Baroni, dalla presenza di Arturo Martini e Francesco Messina, personalità importanti, attive solo parzialmente nella nostra regione. Il primo, a Vado Ligure dal 1920 – oltre a influenzare alcuni artisti savonesi, come Mario Raimondi, Nanni Servettaz, Renata Cuneo – ebbe un ruolo fondamentale nell’indirizzare la ricerca plastica verso una semplificazione delle forme, aliena da recuperi di classicismo e naturalismo e proiettata piuttosto verso un originale arcaismo, con una particolare predilezione, a metà degli anni Venti, per l’impiego della terracotta nelle piccole dimensioni, ovvero per forme di scultura applicata all’oggetto, che trovarono ad Albisola, e poi anche a Genova, interessanti opportunità di realizzazione. Il secondo – che a Genova e in Liguria compì la propria formazione, partita da istanze simboliste e moderniste e poi arricchita da influenze espressioniste e martiniane – ancor prima del definitivo trasferimento a Milano, avvenuto nel 1930, ebbe modo di giungere ad una personale sintesi di classicismo e naturalismo, spesso imbevuta di ricordi ottocenteschi.
Tra stilizzazioni arcaiste ed esiti realisti si colloca l’opera di molti scultori liguri dell’epoca, taluni dei quali, come Guido Galletti, Guido Micheletti, Francesco Falcone e Rodolfo Castagnino, giunsero ad accentuare progressivamente il secondo aspetto, mentre altri, come Armando Vassallo, Adolfo Lucarini, Cesare Giarrusso rimasero più legati a sintesi déco.
In quest’epoca, come di recente si è avuto modo di approfondire, un ruolo importante di promozione della modernità e sprovincializzazione viene assunto dai futuristi, presenti nel territorio ligure con un’interessante articolazione “policentrica”, che vide affiancarsi, alle prime e saltuarie esperienze genovesi, le vicende chiavaresi, albisolesi, spezzine e savonesi.
A Genova tali esperienze assunsero maggior consistenza tra la fine degli anni Venti e l’inizio dei Trenta, sotto la guida di Alf Gaudenzi, Dino Gambetti e del gruppo Sintesi, culminando nell’organizzazione della Prima Mostra Nazionale di Plastica murale del 1934.
Albisola, soprattutto per merito di Tullio Mazzotti, divenne la capitale della ceramica futurista, attraendo verso le sue fornaci artisti come Nicolaj Diulgheroff, Mino Rosso, Bruno Munari, Nino Strada, Fillia, presenze che prelusero ad altre successive sperimentazioni d’avanguardia (Fontana, Sassu, il gruppo COBRA …).
Anche La Spezia, tra il 1932 e il 1934, grazie a Marinetti e soprattutto a Fillia, visse un momento felice, che si manifestò con la nascita di diverse iniziative, quali la Casa d’Arte, la rivista «La Terra dei Vivi», l’istituzione di esposizioni, premi di pittura e di poesia, nonché alcune importanti imprese decorative per edifici pubblici.
Savona, infine, in stretto contatto con Albisola, ma anche con Altare e Zinola (luoghi di ardite utilizzazioni creative di materiali come il vetro e la latta), fu centro importante dei secondi anni Trenta, con significativi apporti anche nel campo della poesia e della letteratura, e protagonisti come Giovanni Acquaviva, Farfa, Maria Ferrero Gussago, Gigi Caldanzano.
L’impegno del secondo futurismo nell’ambito delle arti applicate, soprattutto della ceramica, va comunque valutato insieme con altre esperienze, anch’esse apparentemente “minori”, come quelle di Arturo Martini e Francesco Messina, che, in maniera diversa, ma altrettanto personale e creativa, si erano avvalsi di questo stesso tipo di materiale. O come i contributi nel campo dell’arredamento dei pittori Emanuele Rambaldi, Oscar e Fausto Saccorotti, Paolo S. Rodocanachi, realizzati soprattutto grazie all’intelligente promozione dell’architetto e critico Mario Labò, fautore della fondazione della D.I.A.N.A. (Decorazioni Industrie Artistiche Nuovi Arredamenti) e della I.L.C.A. (Industria Ligure Ceramiche Artistiche), ditte che, in stretto contatto con la M.I.T.A. (Manifattura Italiana Tappeti Artistici), furono presenti alle manifestazioni espositive nazionali e internazionali, specializzate nel settore, dalla fine anni Venti.
Tutti questi apporti, nel loro complesso, costituirono infatti uno strumento importante di sprovincializzazione del gusto, contribuendo a preparare il terreno per le più radicali innovazioni razionaliste dei pieni anni Trenta, che ebbero a Genova rappresentanti importanti in Luigi Carlo Daneri, Gigi Vietti, Robaldo Morozzo della Rocca e lo stesso Labò.
A fianco di quest’avanguardia architettonica, anche la pittura e la scultura – grazie al ruolo attivo delle gallerie d’arte, Vitelli, Valle, Rotta, più tardi Euro Romano, e in particolare, dalla seconda metà di quel decennio, con la nascita della « Galleria Genovese d’Arte » poi « Galleria Genova », fondata da Stefano Cairola – avrebbero trovato spazio per esprimere scelte decisamente antiufficiali e antinovecentiste.
Pittori come Libero Verzetti, Dino Gambetti, Luigi Bassano, Raffaele Collina, Giovanni Battista De Salvo, Franco Diomede, Guido Chiti, e scultori quali Agenore Fabbri, Edoardo Alfieri, Sandro Cherchi, Angelo Camillo Maine, Lorenzo Garaventa, accanto a numerosi esponenti dei gruppi romani e milanesi, come Guttuso, Mafai, Sassu, Birolli, Manzù, Mirko e Afro, ne avrebbero tratto sostegno, promossi vuoi da un collezionismo intraprendente e coraggioso (si pensi ad Alberto Della Ragione e a Emilio Jesi, ma anche ai meno noti Carlo Suppo ed Emilio Libero), vuoi da una critica aggiornata, come quella rappresentata da Attilio Podestà. Giornalista de « Il Secolo XIX », e responsabile, nel 1932-33, de « La Specola delle Arti », straordinaria rubrica interdisciplinare e internazionale, sede di un approfondito dibattito su temi d’arte e architettura « all’ordine del giorno » e dimensione europea, egli fu poi collaboratore, spesso accanto al già citato Labò, di alcune delle riviste italiane più impegnate nella battaglia per l’affermazione delle avanguardie, come «Casabella», «Domus» ed «Emporium», di cui fu direttore.
Mentre, nel corso degli anni Trenta, il fascismo al potere, consolidandosi gradualmente, dava vita a una miriade di manifestazioni espositive e occasioni concorsuali, nel tentativo di un controllo della produzione artistica, per mezzo di questo circuito, costituito da gallerie d’arte di tendenza, collezionismo illuminato e critica militante, Genova sarebbe quindi entrata a far parte, a pieno titolo, di quella fitta rete di contatti che collegava le maggiori città italiane, Milano, Roma, Torino, Firenze e Palermo e i relativi centri di ricerche antinovecentiste e di opposizione ai sempre più pesanti condizionamenti imposti dal regime, preparando un fertile terreno per la nascita delle nuove esperienze del secondo dopoguerra.
Caterina Olcese Spingardi, La cultura figurativa a Genova e in Liguria dall’inizio dell’Ottocento alla seconda guerra mondiale in Storia della cultura ligure (a cura di Dino Puncuh), Società Ligure di Storia Patria – biblioteca digitale – 2016 – Nuova Serie – Vol. XLV (CXIX) Fasc. II