La strada verso un nuovo modo di intendere la poesia destinata all’infanzia

Esiste una poesia destinata all’infanzia? E ammettendo che sia così, vi è una data, un momento storico preciso nel quale poter collocare la nascita di un poetare espressamente destinato alle attenzioni dei lettori bambini?
Quale ruolo ricopre la poesia nell’alveo della letteratura per l’infanzia? Non si può iniziare un discorso sulla poesia ignorando tali interrogativi. Se di primo acchito essi possono apparire banali, in realtà sollevano questioni per niente scontate.
Nel panorama della storia della letteratura per l’infanzia la poesia non si è mai aggiudicata i primi posti.
Le è sempre stato consono un ruolo marginale, talvolta camuffato (come nelle quartine che accompagnano le tavole a colori di tanti periodici novecenteschi, primo tra tutti il Corrierino). Anche oggi, nel pensiero comune, l’associazione poesia-bambini suscita immediatamente immagini un poco stinte, di recite scolastiche o di rime mandate a memoria per poi essere srotolate davanti ad un pubblico altrettanto bambino ed altrettanto acerbo nel coglierne i reali significati.
Ma davvero la poesia riveste un ruolo così marginale nella storia letteraria per l’infanzia? In fin dei conti molti scrittori per bambini del secolo scorso erano innanzitutto poeti. Proprio loro armeggiando con i versi e con le parole si sono trovati giocoforza a inciampare in poesie che sembravano essere nate proprio per i piccoli lettori.
Basti pensare a Guido Gozzano, Luigi Capuana, Francesco Pastonchi, Angiolo Silvio Novaro o, come vedremo, Antonio Rubino <1.
Forse occorre togliere un velo e cercare innanzitutto di andare agli albori della poesia scritta per un pubblico infantile.
Renata Lollo nell’articolo Poesia per l’infanzia nel secolo XIX (Lollo 2006, 231-266) indaga proprio sulle origini della poesia per l’infanzia ottocentesca basandosi sulla risonanza che essa ritrova in alcune valutazioni critiche di primo Novecento. A partire dalle posizioni espresse da Anna Errera e dal maestro Giovanni Cerri sulla poesia per bambini, Renata Lollo delinea innanzitutto il punto di svolta pascoliano: «lo spartiacque pascoliano tra la poesia ottocentesca e il Novecento cerca anche per la poesia per l’infanzia nuove modalità espressive più ricche di simboli e di invenzione fantastica» (Lollo 2006, 238).
Il linguaggio poetico del Pascoli segna dunque una linea di confine tra un prima e un dopo. La poetica pascoliana inaugura un nuovo passo nel poetare destinato all’infanzia, carico di simbolismi, di suggestioni fantastiche nonché pregno di un linguaggio musicale e sonoro che ben si accorda all’animo fanciullesco.
Prima di tale svolta espressiva sembra che vi sia una grande penuria di opere poetiche destinate ai bambini, dovuta innanzitutto alla scarsa considerazione dell’infanzia in sé: “[…] la tarda e ridotta circolazione della poesia moderna per bambini non è dovuta essenzialmente alla perdita, alla non conservazione o alla difficile reperibilità di opere e testi, ma ad una specie di vuoto o trauma culturale, legato al passaggio da un silenzio dell’infanzia non ancora considerata rilevante ad una sua alfabetizzazione lenta ma dalla tendenza necessariamente generalizzata. Se in qualche modo si è riusciti a scrivere Novelle […] fin dal tardo Settecento per un’età non troppo bassa e almeno latamente infantile, non è stato per nulla agevole né spontaneo proporre in modo nuovo poesie per bambini. Si è lasciato a lungo all’oralità popolare e infantile il patrimonio proverbiale, delle filastrocche e dei canti, più ancora di quanto non si sia lasciata la narrazione. La poesia per bambini dell’Ottocento rivela così, per il ritardo della sua esistenza e per la qualità del suo linguaggio, il peso consolidato di una lunghissima tradizione aulica […]”. (Lollo 2006, 241)
Guardando alle origini della letteratura per l’infanzia, troviamo dunque la poesia celata nelle forme dell’oralità popolare: conte, filastrocche, preghiere, canti sono le uniche forme espressive che racchiudono versi nati apposta per i bambini. Basti pensare alla ricchezza del patrimonio popolare delle nenie e delle ninnenanne.
Tuttavia ancora mancano opere, composizioni scritte in versi ad uso infantile.
I favolisti, quali Pietro Metastasio, Lorenzo Pignotti, Gaetano Perego, Aurelio Bertòla De Giorgi costituiscono forse un primo passo intermedio tra narrazione e poesia (Lollo 2006, 242).
Bisogna però attendere ancora prima di imbattersi nelle prime antologie poetiche per l’infanzia.
Lollo in particolare richiama all’attenzione la raccolta di poesie di Cesare Cantù, Fior di memoria pei bambini indicandone la data di pubblicazione (1846) come punto di origine del discorso poetico per l’infanzia (Lollo 2006, 248). L’antologia infatti è la prima a dichiarare palesemente il proprio fine: raccogliere componimenti poetici destinati ai bambini prestando attenzione sia ai contenuti sia alla forma. In particolare: «Sembra così individuata una linea […] di poesia per l’infanzia attenta all’educativo e al vero, attenta agli affetti e alla famiglia, alla stabilità e alla fede» (Lollo 2006, 254).
[…] Si giunge a quella che Lepri definisce la svolta degli anni Cinquanta, quando Gianni Rodari pone al centro della questione poetica infantile una dimensione ludica che non trascura la cura estetica (Lepri 2019, 77). Siamo di fronte ad una «poesia alta, intensa e leggera insieme, che introduce il piacere dello sperimentalismo linguistico non disgiunto da un impegno in direzione sociale» (Lepri 2019, 77).
Accanto a Rodari altri poeti aprono ad una nuova epoca della poesia per bambini, quali Bruno Munari, Maria Enrica Agostinelli, Nico Orengo, Emanuele Luzzati (Lepri 2019, 78).
S’inaugura inoltre la stagione delle antologie destinate ai bambini come, a titolo esemplificativo, la raccolta di Donatella Bisutti L’albero delle parole, edito nel 1979 da Feltrinelli, o Poesie d’amore, curata da Beatrice Masini pubblicata nel 1997 da Fabbri.
Siamo ormai alle soglie del nuovo millennio e su questo sfondo si muovono le esperienze di scrittori per l’infanzia che possano definirsi poeti tout court, quali Roberto Piumini e Guido Quarzo prima, Bruno Tognolini, Chiara Carminati e Silvia Vecchini poi.
Vi è ormai una codificata sensibilità nel ritenere la poesia per l’infanzia un genere con una propria dignità e con confini di scrittura ben delineati. Citando ancora Chiara Lepri: «l’impegno nel consegnare una “poesia vera” ai bambini […] ha già in sé un alto valore poiché riconosce l’importanza e il piacere dell’esperienza artistica nei più piccoli» (Lepri 2019, 81).
La breve parabola storica qui condotta (che non ha certo la pretesa di essere esaustiva) ci dà conto del contesto letterario italiano per l’infanzia, nel quale il discorso poetico ha progressivamente legittimato il destinatario infantile <3. Dalle prime raccolte in versi ideate appositamente per un pubblico infantile si è via via passati alla poesia espressamente pensata e scritta per i piccoli.
Forse nella prima metà del Novecento ciò avveniva in modo più o meno forzato: gli autori, i poeti si ritenevano innanzitutto vocati alla Poesia alta, quella per gli adulti. Quasi per caso questa vocazione li spingeva poi a comporre liriche per un altro tipo di pubblico. Con Gianni Rodari e i poeti a lui succeduti il panorama cambia notevolmente, per arrivare oggi ad un chiaro intendimento del comporre poesia per bambini, come ben esprime Bruno Tognolini: “Ci sono scrittori per grandi e scrittori per piccoli, perché non è vero che non c’è differenza, c’è eccome. È una questione di ARTE e MESTIERE, che son cose sorelle ma diverse. Bisogna sapere scrivere: e quella è l’arte. Poi bisogna sapere scrivere per grandi o per bambini, per il cinema o per il teatro, per il premio Strega o per la pubblicità, per i lettori o per gli editori: e quello è il mestiere. Al mondo esistono i pediatri e i geriatri. Entrambi condividono l’arte medica, poi i pediatri per mestiere curano i bambini e i geriatri i vecchi. Nessuno si sognerebbe di dire che un pediatra non è un dottore”. (Polvani 2017)
1 Sulla vocazione poetica di Antonio Rubino si rimanda all’articolo: Sono anche poeta: le pubblicazioni in versi di Antonio Rubino in età giolittiana (Surdi, 2014).
3 È interessante citare l’operazione letteraria condotta da Erminia Ardissino (2008) nella raccolta: L’infanzia nella poesia del Novecento poiché offre una panoramica di numerosi componimenti di poeti italiani del Novecento che parlano di infanzia. Ne scaturisce una visione della stagione infantile come tema lirico e di ispirazione poetica, mentre più cauto e timoroso appare il processo di legittimazione del destinatario infantile da parte di quegli stessi poeti.

Elena Surdi, Poesie di Casa: la poesia domestica di Antonio Rubino ed Emilia Villoresi, Rivista di Storia dell’Educazione, anno VII – n. 2 (n.s.), 2020

[…] Muovendo dal concetto di «poesia domestica», formulato nel cuore romantico dell’Ottocento italiano da Giulio Carcano (1839), che vede nella casa e nelle relazioni familiari un luogo naturalmente abitato dalla “poesia”, Elena Surdi esplora quindi parte della produzione poetica di Antonio Rubino (1880-1964) e di Emilia Villoresi (1892-1979), che sviluppano tale idea di poesia mettendo a tema i luoghi, le figure, le situazioni, le emozioni piccole e grandi, gli stupori e gli spaventi di cui i figli della borghesia, cui tali versi erano destinati, conoscono per esperienza diretta. In Italia tale via ha consentito il superamento dei modelli ottocenteschi, angustamente educativi, che avevano spesso «assai più bontà d’intenti che non valore poetico» (Lollo 2006, 233). È aperta in questo modo, nel solco di quello «spartiacque » tra la poesia ottocentesca e il Novecento rappresentato dalla poesia pascoliana (Lollo 2006, 238), la strada verso un nuovo modo di intendere la poesia destinata all’infanzia: con una maggiore attenzione alla dimensione estetica – la centralità delle forme che il linguaggio assume per farsi veicolo, non solo di concetti, ma anche di relazione (tra adulti e bambini) – che avrebbe di lì a poco trovato un punto di riferimento ideale nel lavoro multiforme di scrittura per l’infanzia di Sergio Tofano (1886-1973), su cui si sofferma Lorenzo Cantatore nella sua articolata riflessione. La portata pedagogica dell’opera di Tofano, sottolinea lo studioso, discende infatti dalla centralità giocata nel suo sviluppo da una sperimentazione linguistica aperta all’impiego e alla contaminazione di più codici comunicativi (verbale, visivo, gestuale) e da una libertà inventiva che si manifestano nel segno della leggerezza e tendono unicamente alla ricerca della felicità, intesa come «vocazione più alta di pedagogia ed educazione».
Col quarto contributo, di Alessandra Mazzini, incentrato sul progetto educativo sotteso alla poesia di Alfonso Gatto – di cui sono emblema Il sigaro di fuoco (1945) e successivamente Il vaporetto (1963) – giungiamo a un momento nevralgico della storia italiana, gli anni della ricostruzione e della nascita della Repubblica, e incontriamo una poesia nata «sotto il segno della Resistenza » e fondata su un rifiuto categorico del modello pedagogico proposto dal regime fascista, così come del suo ideale di bambino obbediente e ligio alle autorità. Si tratta di una poesia pervasa da un’inesauribile carica etica, da un senso intimo dell’impegno e della responsabilità, che avrebbe trovato in Gianni Rodari un erede e un compagno di ideali capace di rappresentare con i versi e le filastrocche scritte negli anni Cinquanta – poi confluite in Filastrocche in cielo e in terra (1960) – un nuovo cruciale momento di passaggio nella storia della poesia per l’infanzia in Italia.
Rodari rappresenta infatti un punto d’approdo e maturazione di un’idea di poesia per l’infanzia che assume i tratti della «frattura culturale» (Zanzotto 1983, 25), del brusco cambiamento di paradigma, perché si sviluppa all’insegna dell’umorismo e del divertimento, senza tuttavia mai rinunciare alla tensione utopica e al recupero di una chiara intenzionalità educativa, in continuità col progetto poetico formulato da Gatto già alla metà degli anni Quaranta. E offre un modello di poesia che si configura primariamente come «giocattolo poetico », costruzione di un discorso in versi in cui la dimensione del gioco e della felicità ritmico-sonora sono fondanti e irrinunciabili (Rodari 1982, 163-166), insieme alla presenza di temi, situazioni e protagonisti inediti e di una lingua nuova, «in presa diretta con la quotidianità » (Boero e De Luca 2016, 260). Un modello di scrittura che avrebbe inciso profondamente sull’evoluzione della poesia per l’infanzia del secondo Novecento, avviando un complesso e irreversibile processo di rinnovamento, cui Chiara Lepri dedica il proprio contributo. A partire dal mutato clima culturale degli anni Settanta, e sempre più negli ultimi decenni, la poesia per bambini e ragazzi ha continuato a rappresentare un fecondo campo di sperimentazione della libertà espressiva autoriale, ma la dimensione dell’impegno civile e della responsabilità politica pare tuttavia essersi progressivamente affievolita, privilegiando temi e forme che rimandano a sfere più intime e personali, legate alla dimensione affettiva oppure esistenziale.
Il gioco di parole in versi, nelle difficoltà che pone al traduttore e nelle possibilità di riscrittura che offre nell’ottica di un avvicinamento dei lettori in formazione ai classici della letteratura (Cantatore 2019), è la questione intorno a cui si articola il contributo di Claudia Alborghetti, che si sofferma analiticamente su una selezione di traduzioni – per lo più recenti – delle nonsense rhymes disseminate nel capolavoro di Carroll, Alice nel paese delle meraviglie, e cerca di mostrarne attraverso gli strumenti dell’analisi linguistica e intertestuale le qualità di vere e proprie ri-creazioni letterarie, così come il diverso modo che hanno di coinvolgere il lettore nel gioco della lettura.
Nell’ultimo contributo Andrea Dessardo muove dal lavoro, dalle teorizzazioni e dalle indicazioni operative formulate dal poeta americano Kenneth Koch nel suo Desideri, sogni, bugie (1980) per avvicinare i bambini all’esperienza della poesia. Per indagare che cosa rimane di quella stagione, improntata a un ideale di matrice attivistica nel modo di considerare il rapporto tra infanzia e parola letteraria (Paolone 2018), e quale ne sia oggi l’eredità, Dessardo sceglie di esplorare la presenza della poesia in alcuni libri di lettura per le scuole elementari in circolazione negli anni Novanta (riletti in relazione al contesto storico e ai mutamenti introdotti nell’insegnamento dai Programmi dell’85) e di rivolgersi all’editoria specializzata degli anni Duemila, soffermandosi principalmente su uno specifico progetto editoriale, i «Pesci d’argento» (Einaudi Ragazzi). Arriva così a esprimere un giudizio quanto meno dubitativo sull’eredità lasciataci da Koch, e a valutare l’opportunità del ripristino di scelte e modalità di incontro tra i bambini e la poesia più formali e trasmissive, sostanzialmente pre-rodariane […]
Martino Negri, Bambini e poesia in Italia dall’Ottocento a oggi. Ricostruzioni storiche e ipotesi interpretative, Rivista di Storia dell’Educazione cit.