
Come emerso nel corso della trattazione relativa alla presidenza Saragat, gli anni ’70 rappresentano un periodo di forte crisi per il Paese sotto ogni punto di vista. Sul piano economico, terminata la fase di crescita, si attraversa una prima ondata di arresto: la disoccupazione cresce, l’inflazione impoverisce le famiglie. La situazione economica, peraltro, viene ulteriormente aggravata dalla crisi petrolifera, che determina un impennata del prezzo del petrolio, e dalle frequentissime interruzioni dei lavori in fabbrica causate dai costanti scioperi e proteste. Sul piano sociale, sono gli anni della contestazione, della strumentalizzazione delle masse, della protesta violenta e dell’ingresso del terrorismo e dell’estremismo politico in Italia, divenuto “propaganda armata” <209, di cui rappresentano soltanto alcuni esempi la strage di Piazza Fontana (dicembre 1969), il sequestro del dirigente della Siemens, Idalgo Macchiarini, da parte delle Brigate Rosse (marzo 1972), la morte di Feltrinelli durante la preparazione di un attentato (marzo 1972), l’assassinio del commissario Luigi Calabresi (maggio 1972), il rapimento e il successivo ritrovamento del cadavere di Aldo Moro (marzo e maggio 1978).
Sul piano politico, infine, è ormai lontana l’epoca del centrismo degasperiano, quando la democrazia cristiana – seppure divisa – deteneva il monopolio della strategia politica mantenendo un’unità di azione. Al contrario, la coalizione di centro-sinistra stenta a decollare, a causa delle divisioni sempre più marcate interne ai partiti e dell’inconciliabilità dei punti di vista tra forze politiche chiaramente costrette dalle contingenze ad allearsi <210. Peraltro, i commentatori rinvengono un mutamento nella formula di centro-sinistra, che vede come spartiacque il 1968. Infatti, fino al 1968 il governo di centro-sinistra si connota per una tendenza unificante che, nell’ottica di un arroccamento del potere decisionale nelle sole sedi ministeriali, induce parte della dottrina a rinvenire nel primo periodo del centro-sinistra una sorta di continuum degli anni del centrismo, seppure realizzato mediante una direzione plurima dei centri di potere. Al contrario, la fase successiva al 1968 si caratterizza per la frammentazione e dispersione delle istanze politiche, corrispondenti alla proliferazione di diverse sfaccettature sociali. In questo contesto, “si imputa
l’assenza di programmazione al prevalere delle tradizionali mediazioni settoriali”, in quanto “via via che si espande l’universo degli interessi rappresentati, cresce l’incapacità di costruire indirizzi unitari di governo” <211.
In questo delicato contesto, le forse politiche sono quanto mai discordi nella scelta del candidato ideale alla Presidenza [della Repubblica]. Le divisioni interne alla Dc si fanno ancora più profonde del solito quando, in occasione delle amministrative tenutesi il 13 giugno 1971, si registra un incremento delle destre, a discapito della formula governativa di centro-sinistra. Il preoccupante risultato ha quindi l’effetto di rimarcare ulteriormente, soprattutto in vista di un momento politico importante quale l’elezione presidenziale, le differenti strategie politiche interne al partito: da un lato, i morotei vorrebbero un assestamento della linea politica spostata a sinistra (la c.d. “terza fase”), dall’altro lato, i dorotei e gli esponenti del centro e della destra del partito (il segretario Forlani, Fanfani, Andreotti) propendono per una soluzione moderata idonea a mantenere il consenso di una fetta più ampia
dell’elettorato attivo. D’altra parte, i socialisti, incoraggiati dai risultati delle comunali, vogliono mantenere il loro affrancamento dal partito socialdemocratico e l’unione con le sinistre, facendosi anch’essi, come i morotei, promotori della strategia dei c.d. “equilibri più avanzati”. Sulla stessa lunghezza d’onda si trovano i comunisti, i quali sperano in una soluzione di convergenza tra sinistre e cattolici e sono sostanzialmente interessati all’elezione di un soggetto che non si opponga a un ingresso comunista nella maggioranza <212.
L’elezione di Leone
Ancora una volta, il candidato prescelto dal partito di maggioranza relativa non viene eletto. Infatti, il primo nome presentato dai democristiani è quello di Fanfani, che tuttavia fin dagli scrutini iniziali viene battuto dal candidato delle sinistre, il leader socialista Francesco De Martino, proposto nella consapevolezza che non avrebbe vinto la competizione per il Quirinale, nell’attesa che la situazione interna alla Democrazia Cristiana, come sempre osteggiata dai franchi tiratori, si dipani e determini la presentazione di una personalità più gradita anche alle sinistre. Fanfani, infatti, essendo stato tra i primi fautori di un’alleanza di centro-sinistra, è inviso alle destre, né tanto meno è gradito alle sinistre, poiché si muove su posizioni moderate e lontane dall’opzione di un coinvolgimento dei comunisti. Il candidato dei socialdemocratici, Saragat, non riesce invece ad acquisire competitività. Una sua rielezione, infatti, collide in primo luogo con la strategia politica della Dc, che necessita l’affermazione di un proprio candidato per mantenere (o meglio, perseguire) l’unità del partito e, tra l’altro, nella prospettiva del referendum sul divorzio, non vede di buon occhio un laico al Quirinale. I socialisti, dal canto loro, stanti le difficoltà incontrate dalla formula di centro-sinistra e la nuova scissione con i socialdemocratici, sono interessati a non rompere i rapporti con i comunisti, al cui ingresso nella formula politica di maggioranza Saragat si era sempre opposto. Emerge quindi che per l’elezione presidenziale del 1971 un ruolo fondamentale è ricoperto dalla questione comunista.
Dopo svariati scrutini, stante la costante impossibilità di Fanfani di raggiungere i voti necessari, si profila l’idea di una candidatura Moro, che, sostenitore della c.d. “strategia dell’attenzione” verso i comunisti, avrebbe il limite di determinare un decisivo spostamento a sinistra della politica italiana, non gradito alle correnti moderate della Dc, agli americani e al mondo imprenditoriale. Inoltre, essendo Moro visto con favore dal Papa, è personalità avversata dai laici. Soprattutto in considerazione del delicato contesto economico-sociale, un inasprimento della conflittualità politica deve evitarsi e si propende quindi per una soluzione di “mediazione”, costituita, appunto dalla candidatura di Leone, che i partiti laici si dichiarano disponibili a votare. Al ventitreesimo scrutinio, il 24 dicembre 1971, Leone viene eletto con i 518 voti (su 996) di democristiani (fatta eccezione per una cinquantina di franchi tiratori), socialdemocratici, repubblicani, liberali e missini. Le sinistre votano invece Nenni, la cui candidatura ha nel frattempo sostituito quella di De Martino <213. La risicata maggioranza con cui viene eletto Leone si regge, in sostanza, sui voti decisivi del Msi, macchiando la presidenza di Leone di un “peccato originale: un accordo sottobanco fra Dc e Msi, fatto che sembrava precipitare indietro di mille anni la lunga marcia in direzione della sinistra democratica” <214.
Si ha già avuto modo di sottolineare le caratteristiche di mediatore che connotano la personalità di Giovanni Leone: democristiano, ha il pregio di non prendere parte alle diatribe che percorrono il partito e di porsi in tal modo come la personalità ideale per salvare le situazioni create dai conflitti tra forze politiche. Non a caso, come si è visto, Leone venne scelto per la guida di ben due governi “di attesa” (1963 e 1968). Inoltre, la sua candidatura alla presidenza della Repubblica era già stata presentata nel 1964, quando i difficili equilibri tra Dc e socialisti determinarono l’elezione di Saragat. Ma la scelta di Leone appare ancor più opportuna dopo il ruolo svolto dallo stesso nel difficile compromesso tra partiti relativo alla legge Baslini-Fortuna sul divorzio <215. Leone, insomma, che “è stato tenuto più volte come il jolly di riserva” <216 a partire dagli anni ‘60, diventa il candidato ideale nella situazione di impasse caratterizzante la politica italiana.
Nonostante i primi commentatori dell’elezione presidenziale rinvengano il significato dell’elezione di Leone nella necessità, già mostratasi con l’elezione di Segni, di porre un esponente moderato a controbilanciare l’alleanza di centro-sinistra, altra autorevole dottrina evidenzia, all’opposto, che si tratta in questo momento della politica italiana di definire una strategia politica con cui affrontare il declino dell’alleanza di centro-sinistra. In questo senso, si presentano due alternative: tentare un riadattamento della formula politica mediante il rimescolamento dei rapporti interni tra le forze politiche o attuare la strategia propugnata dalla corrente morotea degli “equilibri più avanzati”, ossia un’apertura ai comunisti. L’elezione di Leone, un conservatore moderato anticomunista, sancisce la prevalenza della prima opzione. La questione è colta immediatamente, non a caso, dal “New York Times”, che intitola un articolo dedicato all’elezione presidenziale italiana “La vera questione è il futuro ruolo del partito comunista” <217.
Fin dal discorso di insediamento, pronunciato il 29 dicembre 1971, emerge il significato prettamente garantista, e tutt’altro che interventista, che Leone attribuisce alla funzione presidenziale: dal momento che il Capo dello Stato “attinge dalla Costituzione il complesso dei suoi poteri e l’indicazione dei relativi limiti […] non spetta a lui formulare programmi o indicare soluzioni. Gli spetta invece il compito di vigilare sull’osservanza della Costituzione […] Interprete dell’unità nazionale, secondo la solenne formula costituzionale” <218. Per tutto il settennato egli si atterrà a questa concezione della Presidenza della Repubblica, tra le altre cose evitando interferenze nella scelta dei ministri, rinviando una sola legge al Parlamento, inviando un solo messaggio (che pure, come si tratterà, gli costerà molte critiche) alle Camere <219.
[NOTE]
209 I. Montanelli – M. Cervi, L’Italia degli anni di Piombo, Milano, Rizzoli, 1991, p. 170.
210 Per una breve ricostruzione del contesto, cfr. A. Baldassarre – C. Mezzanotte, op.cit., p. 159; G. Mammarella – P. Cacace, op.cit., pp. 159-160. Un approfondito excursus dei principali avvenimenti degli anni della “propaganda armata” è fornito da I. Montanelli – M. Cervi, op.cit., 1991, pp. 170 ss. Sulla crisi petrolifera ed economica, cfr. ivi, pp. 206-210.
211 G. Amato, Il primo centro sinistra, ovvero l’espansione della forma di governo, in Quaderni Costituzionali, n. 2/1981, Bologna, il Mulino, pp. 307, 310.
212 Cfr. A. Baldassarre – C. Mezzanotte, op.cit., pp. 163-164.
213 Cfr. G. Mammarella – P. Cacace, op.cit., pp. 155-157; A. Baldassarre – C. Mezzanotte, op.cit., pp. 164-170; F. Damato, Il colle più alto, Milano, SugarCo Edizioni,1982, pp. 97-100; I. Montanelli – M. Cervi, op.cit., 1991, pp. 161-167; P. Guzzanti, Presidenti della Repubblica. Da De Nicola a Cossiga, Bari, Laterza, 1992, pp. 205-209.
214 P. Guzzanti, op.cit., p. 206.
215 Cfr. G. Mammarella – P. Cacace, op.cit., p.154. La vicenda della legge sul divorzio riguarda il successo di Leone nel far approvare una serie di emendamenti sgraditi agli integralisti cattolici. Questo è un esempio del rigore metodologico con cui il futuro Presidente affronta i problemi della politica. Leone, infatti, si colloca su posizioni conservatrici ma non permette a motivazioni ideologiche di interferire con la qualità giuridica delle decisioni: “si intende – affermerà prima del voto – che io comunque voterò contro il mio stesso progetto di emendamenti perché al divorzio da cattolico resto contrario” (G. Mammarella – P. Cacace, op.cit., p.155). Giovanni Leone nasce a Napoli il 3 novembre 1908. Laureato in giurisprudenza e in scienze politiche sociali, è docente di diritto e procedura penale (Università di Messina, Bari, Napoli e Roma) e autore di numerose pubblicazioni scientifiche. E’ tra gli avvocati penalisti più affermati in Italia. Dopo aver partecipato alla seconda guerra mondiale, dal 1944 inizia la carriera politica iscrivendosi alla Dc, del cui Comitato napoletano diviene segretario politico nel 1945. Deputato della Costituente, egli riscuote un numero sempre maggiore di preferenze nelle varie tornate elettorali (viene sempre rieletto dal 1948 al 1963), nonostante non si schieri mai per alcuna delle maggiori correnti democristiane. Nel 1955 diviene presidente della Camera, per la cui carica viene rieletto fino al 1963, quando viene scelto per la guida del suo primo governo di attesa (il c.d. governo balneare). Il 27 agosto 1967 viene nominato senatore a vita per i suoi meriti nel campo scientifico e sociale. Pare siano proprio il rigore da giurista e le capacità di mediatore a determinare la sua brillante carriera politica (ad esempio, è determinante il ruolo di Leone nella disputa tra Dc e Pci per l’elezione dell’ultimo giudice costituzionale, nel corso del settennato di Gronchi). Amante della vita mondana, anche grazie alla professione forense si imbatte in moltissime personalità, le cui amicizie contribuiranno non poco a incrementare i sospetti di condotte illecite che nell’ultimo biennio della presidenza determineranno la perdita di credibilità e, come vedremo, le dimissioni da Presidente. Decede il 9 novembre 2001 (cfr. G. Mammarella – P. Cacace, op.cit., pp. 148-152; A. Baldassarre – C. Mezzanotte, op.cit., p. 205; V. Gorresio, op.cit., pp. 329 ss.; www.quirinale.it).
216 V. Gorresio, Il sesto presidente, Milano, Rizzoli, 1972, p. 329.
217 Cfr. A. Baldassarre – C. Mezzanotte, op.cit., pp. 170-174.
Elena Pattaro, I “governi del Presidente”, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum Università degli Studi di Bologna, 2015