
Ai primi di settembre [1980] riprende l’attività produttiva di Torino, le fabbriche riaprono progressivamente e riprendono anche le trattative tra la FLM e l’organico Fiat, cosa che fa ben sperare per il futuro dei lavoratori dell’azienda sospesi da luglio nel limbo della cassa integrazione. Ad ogni modo la posizione dell’amministrazione Fiat resta la stessa: l’azienda ha 24 mila lavoratori eccedenti che sarebbero rimasti in cassaintegrazione fino al 31 dicembre, dopo questa data circa 13 o 14 mila operai sarebbero stati liquidati del tutto; dal canto suo la FLM si dichiara disponibile a trattare per 7 o 8 mila lavoratori in eccesso, proponendo la strada del blocco turn-over (ovvero il ricambio del personale) o quella del prepensionamento <51.
Nei successivi incontri la FLM resta saldamente sulle proprie posizioni proponendo una cassa integrazione a rotazione che avrebbe coinvolto circa 78 mila operai, mentre la direzione Fiat propone mobilità per 7 mila operai; gli accordi sono a un punto morto e nessuna delle due parti ha intenzione di cedere terreno.
Il 10 settembre la trattativa crolla nuovamente, la Fiat conferma 14.469 licenziamenti <52. La risposta degli operai è immediata: blocchi e cortei all’interno dello stabilimento di Rivalta; un corteo si muove verso la Indesit inneggiando agli operai di Danzica e al movimento operaio polacco Solidarnosc <53; il Consiglio di Fabbrica decide per il blocco immediato e il presidio dei cancelli di Mirafiori e della la mensa; a poche ore dall’inizio degli scioperi tutti i cancelli degli stabilimenti Fiat sono presidiati e bloccati, nessuno deve entrare in fabbrica.
Il giorno successivo lo sciopero indetto per le 8 comincia con due ore di anticipo, alle 6 appena iniziato il turno; cortei di operai si muovono per le strade di Torino inneggiando a Solidarnosc <54; l’immagine di Marx prende il posto di quella della Madonna di Czestochowa, in breve tempo lo sciopero si diffonde anche negli altri stabilimenti, in poche ore gli operai di Termini Imerese, Cassino, Termoli e Modena incrociano le braccia, ma non solo, lo sciopero dilaga anche fuori dai cancelli della Fiat: l’Autobianchi di Desio, l’OM di Milano e Brescia, la protesta operaia tocca tutti i poli industriali della penisola.
Intanto gli operai del secondo turno decidono di dirigersi in corteo verso la RAI per chiedere, su rete nazionale e locale, di aderire allo sciopero generale, si chiede, inoltre, la diffusione dei punti che hanno portato alla protesta: blocco dei licenziamenti, blocco della mobilità, blocco della cassa integrazione e la correttezza dell’informazione. La Rai deciderà di non diffondere questo appello.
«Si rende necessario procedere ad una riduzione di personale per adeguare il sistema produttivo aziendale alle mutate condizioni complessive di mercato ed all’indispensabile recupero di competitività» <55, questa è solo una parte della raccomandata spedita dalla direzione Fiat alla FLM, l’azienda continua a sostenere la necessità dei licenziamenti, allegando inoltre uno schema dettagliato delle posizioni lavorative dei licenziati divisi tra il settore auto e quello siderurgico.
La risposta della FLM non si fa attendere: sciopero! Il licenziamento di quasi 15 mila operai è inammissibile. La tendenza “moderata” della FLM che propone scioperi articolati di poche ore, viene subito scavalcata da forme di lotta più “nette”, del resto appare chiaro fin dai primi giorni che si sta combattendo una battaglia cruciale e le sconfitte, stavolta, non sono ammesse.
Le lotte del 1980, quasi inaspettatamente, riusciranno a coinvolgere una buona fetta della società, in piazza non si trovano solo operai ma anche pensionati, casalinghe, persone comuni e, nonostante i tentativi della FLM e del PCI di contenere questo fiume in piena, le manifestazioni esplodono e arrivano a toccare la realtà industriale, prima, e quella sociale poi: la lotta degli operai della Fiat diventerà lo specchio delle preoccupazioni di un paese intero, spaccato tra la lotta al terrorismo e la crisi economico-sociale in atto da quasi un decennio.
Sostanzialmente, per tutta la protesta, il sindacato “giocherà in difesa”, non in contrasto rispetto alla posizione operaia, ma comunque con molta prudenza nei confronti di manifestazioni e scioperi; è evidente che la “paura” che lo spettro della violenza in fabbrica fosse ancora in agguato, frena molto una presa di posizione “radicale” davanti ai cancelli o nella scelta delle forme di proteste e manifestazioni più “audaci”.
«Né mobilità, né licenziamenti, occupiamo gli stabilimenti» <56, è questo il grido che si leva il 24 settembre alla fine della manifestazione dei metalmeccanici a Torino dopo i contestati interventi del sindacato; la linea prudente non può essere tollerata dagli operai che già da parecchi giorni hanno iniziato a dissentire coi rappresentanti sindacali e a progettare occupazioni e autogestioni della produzione.
Come già detto l’esempio più immediato per le proteste degli operai italiani è quello degli operai polacchi; la richiesta di chiarezza e trasparenza nelle trattative è la strada scelta sia dagli scioperanti che dalle autorità, al punto che Berlinguer nel discorso conclusivo della Festa dell’Unità di Bologna, chiede che le trattative vengano, addirittura, trasmesse in tv, sulla linea di quelle di Danzica <57.
In realtà oltre al bisogno di chiarezza, gli operai lamentano anche una compromissione troppo profonda dei sindacati con la classe politica, motivo per cui oltre alle trattative pubbliche, viene richiesto anche lo spostamento dei colloqui a Torino, sperando di ottenere così maggiore chiarezza.
L’esito di questa mediazione viene reso pubblico dal Ministro del lavoro Foschi: il documento contiene, in buona parte, una sintesi degli accordi tra le parti ottenuti durante le diverse riunioni: il ritiro della procedura dei licenziamenti, il blocco del turn-over, il prepensionamento per 12.000 persone, la mobilità interna al gruppo Fiat, cassa integrazione a zero ore per 24.000 lavoratori, fino al 31 dicembre 1980, cassa integrazione a rotazione con verifiche trimestrali per tutto il 1981, formazione professionale per gli operai posti in cassa integrazione e alla fine del 1981 una verifica del Ministero del lavoro.
In buona parte la proposta del governo riprende quella dei sindacati, ma tale proposta verrà, per ovvie ragioni, rifiutata in tronco dalla Fiat; per gli operai comincia così una massiccia mobilitazione e nell’assemblea di Mirafiori, aperta anche alle forze politiche, respingono in blocco la proposta di cassa integrazione a zero ore fatta dal governo.
É il caos: gli operai fischiano gli interventi delle parti politiche, i partiti rinfacciano ai lavoratori la loro poca democrazia; la soluzione al problema sembra sempre più lontana.
Parallelamente un gruppo di delegati, lavoratori e dirigenti sindacali, guidati da Bertinotti e Pace, si reca a Roma per esprimere apertamente il loro dissenso alle riforme di Foschi, mentre l’altra fazione con Lama, Carniti e Benvenuto si dichiara apertamente favorevole.
Sostanzialmente le trattative restano a un punto morto, come la produzione di vetture del resto, ma straordinariamente la Fiat non subisce perdite grazie agli stock di automobili prodotte e rimaste invendute o, addirittura, grazie alle molte commesse estere richiamate in patria <58.
Anche in questo caso la solidarietà verso gli operai della Fiat non si è fatta attendere: secondo «La Stampa», infatti: «il 15 settembre, la Fiat ha fatto sbarcare a Livorno 10.000 auto provenienti dalla Spagna e dal Brasile ed altre 15.000 sono in arrivo. Per ostacolare le operazioni anti-sciopero della Fiat, alcuni lavoratori portuali italiani e di altri paesi, hanno deciso di impedire l’invio a Torino delle autovetture stipate negli stabilimenti esteri» <59.
Uno dei momenti più importanti dei 35 giorni sarà il 26 settembre con Berlinguer che parlerà a migliaia di lavoratori a Mirafiori, a Rivalta, al Lingotto e alla Lancia; quando il delegato Norcia chiederà quali sarebbero le posizioni del PCI nel caso in cui la fabbrica venisse occupata, il segretario risponde che vi sarà il totale appoggio alle decisioni degli operai, con la mobilitazione e il sostegno di tutti gli organismi di partito; un lungo applauso, strette di mano, abbracci e cori. Lo straordinario successo di Berlinguer, dal suo arrivo in fabbrica fino al suo discorso, può essere facilmente compreso partendo dal presupposto che il PCI è sempre stato schierato dalla parte degli operai, senza esitazioni o tentennamenti; durante le assemblee, oltre ai sindacalisti, vengono sistematicamente fischiati anche i politici della DC e del PSI, mentre gli esponenti del PCI, dello PDUP, di DP e della LCR vengono generalmente lasciati parlare; bisogna ricordare che non sono gli operai a cercare il consenso della politica, ma il contrario: l’obiettivo dei lavoratori è quello di ottenere l’appoggio dai sindacati e dagli esponenti politici che non avessero risposto in modo ambiguo alla protesta nelle sue varie forme; Berlinguer è tra questi. Per comprendere meglio il clima interno agli scioperi si può prendere in esempio una frase di Giorgio Benvenuto: «O la Fiat molla o molla la Fiat» <60 che evidenzia chiaramente come che chi non fosse entrato in sintonia con la massa operaia, sarebbe stato respinto automaticamente dal movimento. Da un’intervista su «La Repubblica» Fassino ricorda i preparativi dell’occupazione: “Da qualche giorno si discuteva a Torino, nel movimento sindacale, di come dare sbocco alla lotta, siccome si avvicinava la scadenza del 5 ottobre, che sarebbe stata la data entro cui sarebbero scaduti i 25 giorni dal 10 settembre (inizio della procedura per i licenziamenti). Nel senso che fino al 5 ottobre va bene: c’era un crescendo di blocco dei cancelli; ma dopo il 5 ottobre si è di fronte a un fatto nuovo. Chi riceveva la lettera di licenziamento era licenziato; chi non la riceveva avrebbe avuto paura magari di riceverla. Insomma si produce un fatto nuovo. Come dare sbocco alla lotta? Nel movimento sindacale si discuteva, allora, se andare all’occupazione o meno” <61.
Comunque al Lingotto si cominciano a raccogliere i nominativi degli operai disposti a far parte del servizio di vigilanza nel caso di occupazione; anche gli altri stabilimenti, da Rivalta all’IVECO, si preparano: se si deciderà di occupare, l’adesione sarà massiccia.
Le lettere di licenziamento non partiranno mai perché il 27 settembre alle 15, grazie al voto in parlamento di alcuni franchi tiratori, il governo Cossiga cade <62. Ancora una volta la Fiat “cavalcherà l’onda” e, appena due ore dopo la caduta del governo, l’azienda annuncia il rinvio delle procedure di licenziamento alla fine del 1980 per «senso di responsabilità nei confronti del paese» e per il fatto che dal 6 ottobre ben 24 mila lavoratori finiranno in cassa integrazione a zero ore. Immediatamente CGIL, CISL, UILM e FLM ritireranno lo sciopero generale indetto per il 2 ottobre.
[NOTE]
51 T. Giglio, La classe operaia va all’inferno. I quarantamila di Torino, p. 112.
52 R. Renzacci, Lottare alla Fiat, p.70.
53 Cfr. K. Jaworska, C. Simiand (a cura di), Solidali con Solidarnosc. Torino e il sindacato libero polacco.
54 Cfr. AA.VV., La parola a Solidarnosc.
55 Coordinamento Cassaintegrati, L’altra faccia della Fiat. I protagonisti raccontano, p. 17.
56 R. Renzacci, Lottare alla Fiat, p.71.
57 F. Barbagallo, Enrico Berlinguer, p. 379.
58 G. Volpato, Il caso FIAT. Crisi e riorganizzazione strategica di un’impresa simbolo, p. 216.
59 «La Stampa», 24 ottobre 1980.
60 R. Renzacci, Lottare alla Fiat, p.75.
61 La Marcia dei 40mila, video in esclusiva per «Repubblica Tv».
62 P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, p. 545.
Mirco Calvano, Terrorismo e tute blu, gli Anni di Piombo alla Fiat, Tesi di Laurea Magistrale, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Anno Accademico 2014-2015
Secondo Piero Fassino, allora dirigente comunista a Torino, Berlinguer era venuto a Torino non per acutizzare gli scontri, ma perché si trovasse una soluzione positiva agli stessi. Come osservò, però, Luciano Lama, segretario nazionale della CGIL, il punto era quello di “andare al negoziato con la lotta, ma puntando alla conclusione della vertenza” <61. Egli notò come Berlinguer si stesse scavando “un fossato sempre più profondo”, trasferendo le ragioni dello scontro sul terreno politico, suscitando dubbi sulle sue azioni da parte del partito stesso, il quale rimaneva però sulla linea della tradizionale prassi comunista di unanimità sulle posizioni del leader e sull’insostituibilità dello stesso. Berlinguer rispose al segretario della CGIL e a coloro i quali criticavano le sue posizioni in merito asserendo che “recidere le nostre radici, pensando di fiorire meglio, sarebbe il gesto suicida di un idiota”. <62
Il 14 ottobre del 1980 le strade di Torino vennero invase da una folla di manifestanti; fra questi v’erano anche folte schiere di operai della fabbrica torinese che chiedevano la fine dello sciopero e la ripresa delle trattative <63. Tale evento verrà ricordato come la “marcia dei quarantamila” – dal numero presuntivo dei partecipanti; va sottolineato che era la prima volta, nel secondo dopoguerra, che una manifestazione di piazza venisse organizzata e realizzata per opporsi alla linea del sindacato, fatto che costrinse quest’ultimo a desistere sulla vertenza. La grave sconfitta politica e sindacale che ne risultò, insieme al fiorire di episodi di collusione fra affari e politica, contribuì così ad inquinare e ad abbandonare definitivamente il dialogo che pochi anni prima Berlinguer aveva aperto con Moro.
[NOTE]
61 A. Guerra, op. cit.
62 E. Berlinguer, Rinnovamento della politica e rinnovamento del PCI, in “Rinascita”, 4 dicembre 1981
63 Una ricostruzione della vicenda in P. Craveri, La Repubblica da 1958 al 1992, in Storia d’Italia, cit., pp. 843 ss.
Francesco Miccichè, Enrico Berlinguer e la Questione morale: dalla mancata autolimitazione razionale al pensiero antipolitico, Tesi di Laurea, Università Luiss, Anno Accademico 2019-2020
23 mila nomi dunque, è questo il numero degli “indesiderati” della Fiat, ma chi sono questi nomi? In un comizio ai cancelli di Mirafiori sarà Marco Giatti, della FIOM del Piemonte, a mostrare ai compagni l’identità dei licenziati: molte sono donne; a seguire ci sono gli inidonei, quelli inadatti ai lavori pesanti o, a volte, inadatti a qualsiasi tipo di lavoro; ma la stragrande maggioranza sono delegati o operai, quelli più combattivi, i nomi scomodi che l’azienda vuole buttare fuori dallo stabilimento per ripristinare l’ordine e disgregare i gruppi di protesta. Dal comizio la risposta sarà unanime: presidio a oltranza ai cancelli di Mirafiori e di tutti gli stabilimenti Fiat a livello nazionale. Nel giro di poco tempo tutti gli stabilimenti vengono bloccati, i presidi si estendono a tutto il paese e i cancelli delle fabbriche sono presi d’assalto con gli operai fermamente convinti a mantenere le loro posizioni. Nonostante i successivi tentativi di cercare un colpevole (anche se non si può effettivamente parlare di colpa) per il blocco dei cancelli e i presidi a oltranza, si può affermare che la decisione è stata unanime e coinvolgerà, praticamente, tutti
gli operai della Fiat, che per solidarietà verso i compagni licenziati (che comunque rappresentano il 15% degli assunti <65) e per non disgregare l’unione operaia creatasi in questi anni di lotta, opteranno per restare coesi e per il blocco totale come unico mezzo di protesta valido.
[…] Da ottobre 1980 i cancelli sono degli operai, che come una tribù si radunano intorno al loro “totem” di metallo, ma non solo, non ci si limita più a presidiare, a un certo punto si inizia a “vivere” il cancello, come fosse il campo base posto al limite del campo di battaglia: in molti cominciano a costruire baracche, tendoni, posti a sedere; al Lingotto e a Chivasso vengono montati dei capannoni dove saranno istituite delle mense popolari per gli occupanti. In breve tempo Mirafiori diventa il nucleo degli scioperi e, oltre le mense e i servizi necessari per il “popolo dei cancelli”, gli operai creeranno un punto di controllo: un vecchio bus in disuso della ATM dotato di telefoni, macchine da scrivere diventerà la sede di Radiolotta; il bus, piazzato davanti al cancello numero cinque di Mirafiori, sarà il centro nevralgico dell’organizzazione operaia e si occuperà di coordinare gli scioperi tra i vari stabilimenti.
[…] In un primo comunicato l’ufficiale della prefettura parlerà di 10, massimo 12 mila presenti alla manifestazione, successivamente i quotidiani parleranno di 40 mila presenze, numero che poi resterà nell’immaginario collettivo definendo storicamente l’evento; da fonti del sindacato e dei gruppi di sinistra (oltre che di alcuni testimoni dell’epoca) comunque sembra che il numero reale si attestasse a non più di 12 mila persone tra capi giunti da ogni parte d’Italia, operai e gente comune stanca della violenza e degli scioperi <72.
La sera del 14 ottobre c’è già nell’aria il rumore di un accordo tra la Fiat e i sindacati; l’incontro tra CGIL, CISL, UIL e FLM sembra non lasciare dubbi: la marcia dei 40 mila (o dei 12 mila come reciteranno i comunicati di Radiolotta) ha avuto la meglio sui 35 giorni di lotta, cominciano le pressioni per far accettare pacificamente l’accordo agli operai. In tutti gli stabilimenti si tengono assemblee coordinative per decidere il da farsi, intanto Torino è invasa da centinaia di agenti di polizia in tenuta antisommossa, manganello appeso alla cintura e fucili lacrimogeni col colpo in canna, la tensione è ovunque altissima. A notte fonda arriva il comunicato: l’accordo è stato approvato; si cerca di organizzare assemblee, cortei, si cerca di resistere e mantenere i picchetti a oltranza; lo scontro viene evitato per un soffio ma la situazione non cambia. Prima dell’alba i picchetti del popolo dei cancelli vengono smontati, solo Chivasso resiste fino all’alba ma alla fine gli operai sono costretti a desistere, i 35 giorni si concludono essenzialmente con una sconfitta per gli operai. L’epilogo dei 35 giorni di lotta sarà di 24 mila operai in cassaintegrazione a zero ore.
[NOTE]
65 G.M Bravo, I cassintegrati Fiat, p. 188.
72 Cfr. AA.VV., Con Marx alle porte. I 37 giorni della FIAT.
Mirco Calvano, Op. cit.