La conduzione delle trattative con gli Alleati da parte italiana seguì una linea poco chiara

Da subito dopo la destituzione del Duce e la “doppia congiura” sull’Italia si abbatté il timore della reazione tedesca, per evitare la quale sin dai primissimi giorni del suo ministero Badoglio si impegnò a rassicurare l’alleato circa il fatto che l’Italia avrebbe continuato a combattere al loro fianco <38. Tuttavia Hitler, furioso per l’abbattimento del regime e per la destituzione e l’imprigionamento di Mussolini a cui lo legava anche un ottimo rapporto personale, era conscio del tradimento prossimo venturo da parte del re e di Badoglio e non si fidava assolutamente della promessa di quest’ultimo, tanto che si mise al lavoro per predisporre un piano di invasione e di controllo militare del paese <39. Il dittatore tedesco aveva ragione: le dichiarazioni di facciata di Badoglio volte a rassicurare i nazisti della bontà del loro impegno altro non erano che un espediente utile a celare quello che era il vero obiettivo dei governanti italiani, ovvero defilarsi il prima possibile da qualsiasi impegno bellico e in particolare affrancarsi dallo schieramento dell’Asse, che in quella fase si stava profilando come la parte in causa destinata alla sconfitta militare e alla debacle politica-istituzionale. Per conseguire efficacemente tale obiettivo la migliore soluzione era cercare un’intesa con gli Alleati e a tal proposito il governo Badoglio cominciò in gran segreto le trattative con i comandi anglo-americani.
La conduzione delle trattative da parte italiana seguì una linea poco chiara e quasi del tutto priva di un indirizzo strategico. Ad iniziali contatti tra le parti seguì una concreta iniziativa presa dal capo di Stato maggiore Ambrosio il quale mandò a Lisbona il suo braccio destro, il generale Giuseppe Castellano, uno dei più convinti sostenitori della necessità di giungere ad armistizio <40; questi si trovò dinnanzi all’inflessibile richiesta britannica di una resa incondizionata i cui termini sarebbero stati resi noti successivamente. Si trattava di una dura condizione, che l’Italia accettò <41 e da cui prese piede quel complesso di trattative e negoziati che nella storiografia italiana è indicato come “inganno reciproco” <42; da parte italiana l’inganno consisteva nel fatto che Castellano fece credere agli anglo-americani di essere il portavoce della volontà italiana di partecipare alla guerra alleata contro la Germania pur non essendo accreditato a concretizzare alcun accordo e non sapendo se il re e Badoglio intendessero realmente farlo <43(e infatti il proposito del capo del Governo e del capo dello Stato non era di entrare a far parte della guerra delle Nazioni Unite contro la Germania ma di sottrarre il prima possibile il paese alle sofferenze e alla distruzione già provocate dalla guerra); l’inganno degli Alleati consisteva nel fatto che essi si dimostravano disinteressati al trovare un’intesa con l’Italia, tanto che gli emissari inviati a Lisbona a trattare con Castellano da Dwight Eisenhower, il comandante in capo di tutte le forze alleate nel Mediterraneo, presentarono il loro esercito come un’imponente armata a cui non serviva il sostegno di nessuno per vincere il nemico nazista, quando in realtà essi ritenevano già molto positiva l’eventualità di una neutralizzazione dell’esercito italiano prima dello sbarco a Salerno, che proprio in quei frangenti gli anglo-americani stavano pianificando (la cd. operazione Avalanche). Nel corso dei contatti gli inviati americani portarono all’attenzione di Castellano un memorandum a firma di Roosevelt e Churchill in cui si affermava che le clausole dell’armistizio “lungo” sarebbero state modificate a seconda del contributo apportato dagli italiani alla causa alleata; ciò implicava che si sarebbe svolto un negoziato in piena contraddizione con la nozione di resa incondizionata <44. Sempre riguardo l’armistizio lungo vi è un aneddoto molto interessante che dimostra quanto freddi fossero i rapporti tra i due contraenti e quanta poca fiducia reciproca ci fosse fra loro; infatti per tutto l’arco di tempo che Castellano trascorse a Lisbona a condurre le trattative con gli anglo-americani questi ultimi – timorosi di possibili intercettazioni naziste – pretesero che non ci fossero contatti via radio e telefonici con l’Italia e perciò il generale per sedici giorni non comunicò nulla ai suoi superiori circa l’esito delle trattative. Durante questo silenzio prolungato il capo dello Stato Maggiore dell’esercito, Mario Roatta, per avere notizie mandò in avanscoperta nella capitale portoghese un altro emissario, il generale Zanussi, al quale gli americani consegnarono il testo dell’armistizio lungo. Tuttavia in un secondo momento questi ebbero un ripensamento e timorosi del fatto che, data la presenza di clausole molto stringenti nel testo, il governo italiano qualora ne fosse venuto in possesso avrebbe potuto sconfessare gli accordi e non firmare la resa, sequestrarono Zanussi e lo portarono al loro quartiere generale ad Algeri. Tornato in Italia alla fine di agosto, Castellano venne inviato da Badoglio a Cassibile (in Sicilia) con il mandato di presentare alcune condizioni/richieste ai comandi alleati: lo sbarco alleato sarebbe dovuto avvenire a nord di Roma, doveva essere effettuato da quindici divisioni e avrebbe dovuto precedere l’annuncio dell’armistizio <45. Tutte queste richieste italiane non lasciavano che trasparire una incertezza di fondo dei comandi militari i quali erano dominati dal terrore della reazione tedesca qualora essi fossero venuti a conoscenza delle trattative segrete; un atteggiamento che – seppur comprensibile – dava enormemente fastidio agli anglo-americani che lo interpretavano come l’ennesimo segnale della poca affidabilità del loro interlocutore, che essi reputavano capace di “tradire” da un momento all’altro. Di quelle condizioni gli Alleati non ne accettarono alcuna ma, pur rifiutandosi di indicare esattamente quando avrebbero effettuato lo sbarco e dichiarando che questo comunque sarebbe avvenuto a sud di Roma, si dissero disponibili a inviare una divisione aviotrasportata per contribuire alla resistenza cittadina ai tedeschi <46. Il generale Castellano tornò a Roma per riferire con i suoi superiori e il 1° settembre partecipò a una riunione con Badoglio, Ambrosio, Guariglia, il generale Carboni da cui emerse l’orientamento favorevole ad accettare le condizioni alleate. Orientamento che fu confermato dal re <47. Nonostante ciò il re e Badoglio non intendevano ancora vincolarsi definitivamente e quindi prendevano tempo nella speranza che ci fossero ancora margini di trattativa con gli alleati e che si potesse evitare la firma della resa incondizionata; a tal proposito inviarono nuovamente Castellano a Cassibile ma senza l’autorizzazione formale a sottoscrivere l’armistizio, cosa che mandò su tutte le furie il generale Bedell Smith, delegato di Eisenhower, e il generale inglese Alexander <48, i quali minacciarono distruzioni e caos per l’Italia se essi non avessero apposto la firma sull’accordo. Così da Roma fu mandata l’autorizzazione e il 3 settembre Castellano e Smith firmarono l’armistizio “corto”. Tuttavia nei giorni successivi gli anglo-americani non comunicarono la data del loro sbarco, cosa che era stato assurdo pretendere in fase di trattativa, in quanto l’Italia era ancora un paese nemico, ma che aveva senso chiedere dopo la firma dell’armistizio; questo comportamento americano era però motivato dalla enorme sfiducia che essi nutrivano negli italiani che – come già detto sopra- gli apparivano come dominati dal terrore, soprattutto dei tedeschi <49. Paura che era giustificata dalla estremamente delicata situazione che il paese stava vivendo, come peraltro ammesso da Robert Murphy, consigliere di Roosevelt che era stato mandato a Cassibile come testimone degli eventi, nel suo rapporto: “… era chiaro che a parere degli italiani il massimo problema non era il carattere o la durezza dei nostri termini di armistizio[…] e nemmeno la questione della resa senza condizioni. Il fattore preminente è che gli italiani non sono liberi di fare quello che preferiscono, ma sono costretti a decidere se siamo noi o i loro alleati tedeschi a poter fare i maggiori danni e rovine in Italia. Stanno letteralmente tra l’incudine e il martello […]” <50. La questione che più premeva a Castellano e ai comandi militari italiani era quella dello sbarco alleato a nord di Roma, che avrebbe dovuto proteggere la Capitale e tutti i vertici dell’Italia badogliana, da S.M. Vittorio Emanuele agli alti comandi militari, dalla vendetta germanica; Castellano – come avrebbe poi raccontato in un suo rapporto del dicembre ’43 – era stato incaricato di presentare anglo-americani nella maniera più tragica possibile lo scenario di un’eventuale occupazione di Roma <51. Evidentemente però gli Alleati non si lasciarono impressionare dai racconti degli emissari italiani dato che non cambiarono minimamente i loro piani di sbarco; informati di ciò da Castellano (non direttamente poiché l’emissario era rimasto a Cassibile ancora qualche giorno ma tramite dei biglietti segreti fattigli pervenire per via aerea insieme al testo dell’armistizio) i vertici dell’Italia badogliana in quei giorni decisero di rinunciare completamente alla difesa di Roma, di rendere impossibile l’arrivo nella Capitale della divisione aviotrasportata promessa dagli americani e di pianificare la loro fuga verso il Meridione <52. Una serie di comportamenti assai codardi e non degni di uomini di governo, che essi motivarono adducendo come scusa la mancata informazione da parte alleata della data dello sbarco; se ciò era sostanzialmente vero, non può giustificare il fatto che essi non abbiano nemmeno tentato di predisporre un piano di difesa della Capitale, fatto ancor più grave se si considera che le divisioni italiane schierate in sua difesa erano in netta superiorità numerica rispetto a quelle tedesche. Inoltre questa decisione si rivelerà una mossa gravida di conseguenze negative a breve e a lungo termine nei rapporti diplomatici e politici con gli americani; le conseguenze nel breve si resero evidenti in occasione dell’arrivo a Roma, il 7 settembre, del generale Taylor, vicecomandante della divisione aviotrasportata che aveva l’incarico di controllare se gli aeroporti in cui i soldati statunitensi sarebbero dovuti essere paracadutati fossero saldamente nelle mani italiane. <53 Taylor pensava di essere accolto da Ambrosio, il Capo di Stato maggiore, ma fu invece ricevuto da Carboni, in agosto nominato da Badoglio direttore del SIM (primo servizio d’intelligence italiano) e in tal veste entrato a far parte del Consiglio della Corona, nella cui riunione del 1° settembre aveva fatto emergere nitidamente il suo orientamento contrario ad accettare l’armistizio. A Carboni il generale americano comunicò che l’operazione Avalanche (ovvero quella dello sbarco) era già stata avviata, che l’annuncio dell’armistizio sarebbe caduto il giorno successivo e che lui aveva il compito di saggiare lo stato di preparazione del piano di difesa di Roma, a cominciare da una verifica immediata dell’agibilità degli aeroporti di Cerveteri, Furbara e Guidonia <54. La risposta di Carboni lo spiazzò completamente; il capo dell’intelligence, infatti, gli disse che c’era stato un grosso equivoco, dovuto al fatto che Castellano aveva riferito come data probabile di sbarco il 12 settembre, che prima di quella data non sarebbero stati pronti a uno scontro con i tedeschi e che perciò bisognava rimandare lo sbarco, richiamando le navi già in navigazione <55. Taylor non credendo a ciò che aveva appena sentito pretese una conferma della versione di Carboni da Badoglio che, svegliato in piena notte “ […] confermò la assoluta necessità di rinviare, di qualche giorno, la denuncia dell’armistizio “attenendosi alle promesse fatte di non denunciarlo prima del 12” e dichiarò ineseguibile il lancio dei paracadutisti e della divisione aerotrasportata.” <56 Un Taylor esterrefatto da ciò che aveva sentito ingiunse il capo del governo ad avvertire lui stesso Eisenhower, la cui risposta al messaggio di Badoglio non si può leggere senza provare una sensazione di vergogna <57:
“dal comando in capo alleato al maresciallo Badoglio. Intendo trasmettere alla radio l’accettazione dell’armistizio all’ora già fissata. Se Voi o qualsiasi parte delle forze armate mancherete di cooperare come precedentemente concordato io farò pubblicare in tutto il mondo i dettagli di questo affare. Oggi è il giorno X e mi aspetto che Voi facciate la vostra parte. Io non accetto il vostro messaggio di questa mattina posticipante l’armistizio. Il vostro rappresentante accreditato ha firmato un accordo con me e la sola speranza dell’Italia è legata alla vostra adesione a quell’accordo. Secondo la vostra urgente richiesta le operazioni aviotrasportate sono temporaneamente sospese <58”
L’annuncio dell’armistizio fu trasmesso da Eisenhower via radio – come concordato – alle 18.30, a una decina di ore dall’avvio dell’operazione Avalanche, che prevedeva lo sbarco nel golfo di Salerno di 170mila uomini suddivisi nella 5° armata del generale Clark e la VIII armata del generale Montgomery; l’annuncio anglo-americano dell’armistizio mandò nel panico i vertici politici e militari dell’Italia badogliana che, in una riunione convocata in tutta fretta al Quirinale, sanzionarono la decisione del re Vittorio Emanuele di confermare l’armistizio. Di questo ne diede l’annuncio Badoglio alle 19:45 in un proclama che fu sentito in tutto il paese e il cui testo recitava così:
“Il governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla nazione, ha chiesto l’armistizio al Generale Eisenhower, Comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”.
L’ultima frase del proclama Badoglio, che sostanzialmente implicava la rinuncia a qualsiasi strategia difensiva, generò uno stato di totale confusione presso tutte le forze armate italiane, che in molti casi la interpretarono come fine della guerra; l’esercito italiano andò incontro a una resa totale alla Germania- che per ordine di Hitler in accordo con il feldmaresciallo Kesselring procedette immediatamente all’occupazione di tutta l’Italia centro-settentrionale (cd. operazione Achse)- e a uno sbandamento generale che portò alla cattura e all’internamento nei lager nazisti di moltissimi soldati italiani (si stima un numero di 815mila), alla fuga di alcuni di essi sui monti o nelle campagne, dove successivamente si arruolarono in alcune formazioni partigiane di orientamento apolitico, oppure alla scelta di unirsi ai tedeschi nel nome del rispetto dell’alleanza (è questo il caso della MVSN o della Xa Mas, che confluirono quasi integralmente nella Wehrmacht e poi nell’esercito della RSI). Mentre si assisteva al disfacimento dell’esercito italiano, nelle prime ore del mattino del 9 settembre un convoglio/corteo composto dalle automobili della famiglia reale, del capo del Governo Badoglio, di alcuni ministri e dei vertici militari imboccò la via Tiburtina e si diresse verso la costa adriatica, raggiungendo prima Pescara e poi Brindisi; è questo l’episodio -noto come la ‘fuga’ del re- che compromise inevitabilmente il giudizio storico della figura del sovrano Vittorio Emanuele III e, più in generale, della monarchia. Poi, come nota Ranzato, se fosse stato predisposto un piano di difesa militare del paese e in particolare della capitale quel viaggio verso il Meridione non sarebbe stato nemmeno un peccato mortale, in quanto volto a evitare che il sovrano e i vertici dello Stato potessero in qualche modo rischiare di essere catturati dai nazisti; ma nessun piano difensivo era stato progettato e quindi effettivamente si trattò di fuga disonorevole. <59
[NOTE]
38 M.SALVADORI, Storia d’Italia, cit., p.288
39 M.SALVADORI, La storia d’Italia, cit. p.289
40 G.RANZATO, La liberazione, cit., p.45
41 Ivi, p.46
42 ELENA AGA ROSSI, L’inganno reciproco: l’armistizio tra l’Italia e gli angloamericani del settembre 1943, Ministero per i beni culturali, Roma 1993
43 G.RANZATO, La liberazione, cit., p.46
44 G.RANZATO, La liberazione, cit., p.47
45 Ibidem
46 Ibidem
47 PAOLO MONELLI, Roma 1943, Einaudi, Torino 2020
48 G.RANZATO, La liberazione, cit., p.48
49 Ivi, p.50
50 E. AGA ROSSI, L’inganno reciproco cit., pp.300-301 in G.RANZATO, La liberazione, cit., p.50
51 “[…] Hanno affermato che se sbarchiamo solo a sud di Roma i tedeschi occuperanno la città e tutto il resto a nord di essa. A loro parere il massacro, il saccheggio e le distruzioni sarebbero peggiori di ogni immaginazione.” Virgolettato tratto dallo stesso discorso di Murphy di cui sopra.
52 G.RANZATO, La liberazione, cit., p.51
53 Ivi, p.52
54 Ivi, p.53
55 Ibidem
56 GIACOMO CARBONI, Memorie segrete. 1935-1948, Parenti, Firenze 1955, pp.270-275
57 G.RANZATO, La liberazione, cit., p.54
58 E.AGA ROSSI, L’inganno reciproco, cit., pp.316-317
59 G.RANZATO, La liberazione, cit., p.56
Guglielmo Salimei, Roma negli anni della liberazione: occupazione nazista e lotta partigiana, Tesi di laurea, Università Luiss “Guido Carli”, Anno accademico 2020-2021