
La simultaneità entro cui maturarono l’avvento di una nuova ‘ndrangheta urbanizzata e il ricollocamento di una sua maggioranza su posizioni partitiche destroidi <466 ha solleticato l’attenzione di diverse generazioni di storici pur non trovando, ancora oggi, una piena risposta al suo quid genetico. Se – come tratteggiato poc’anzi – appare difficile ricondurre l’insurrezione reggina ad un patto pedissequo fra ingranaggi criminali e componente terroristica, non si può sottacere all’evidente valore strumentale dei moti rispetto alle istanze di urbanizzazione delle locali del mandamento centrale e alla richiesta di “meridionalizzazione” di un terrorismo nero ormai prossimo alla svolta identitaria. In relazione a questo vanno interpretate le ragioni che hanno indotto le analisi storiografiche più recenti <467 ad incardinare la ricerca di elementi connettivi in un ambito prettamente regionalistico, ossessionate dall’individuazione di una ratio cognitiva annidata nelle lotte intestine ai sodalizi e nell’avanzata dell’oltranzismo eversivo. Eppure, in un poliedrico carnet di papabili risposte, quella più plausibile va probabilmente individuata nelle grinze delle tensioni morali trasversali all’Italia di fine anni Sessanta e nell’eccezionalità di un altro crocevia di popoli e culture generazionali distante solo venticinque chilometri dall’epicentro della rivolta reggina.
Messina, come del resto le sue organizzazioni mafiose, è sempre stata una realtà sottovalutata rispetto all’esperienze palermitane e catanesi. Malgrado ciò essa, per tradizione delinquenziale e fertilità del suo contesto socioeconomico, ha svolto una funzione strategica negli affari delle holding malavitose attratte dall’assoggettamento della zona portuale ai fini dello smistamento delle sostanze stupefacenti, e vigili nella permeazione degli appalti pubblici orbitanti attorno al polo universitario. Ma la vocazione di Messina non è raccolta unicamente fra le banchine del suo porto, sicché la città ha svolto per decenni una delega supplente nell’accoglienza di un imponente massa di studenti migranti provenienti dalla zona continentale della Calabria. Nascostasi dietro al mito di provincia “babba”, avulsa da ogni signoria criminale del tempo, la realtà messinese vide riconoscere l’esistenza giudiziaria di un primo embrione organizzativo a stampo mafioso solo nel 1983. Furono esemplificative a riguardo le parole dell’ex Procuratore Distrettuale della Repubblica di Messina Dott. Zumbo il quale, interpellato dalla Commissione Antimafia <468 dopo l’omicidio del docente Bottari nel 1998 dichiarò: “Del tutto ignoto era poi il fenomeno della criminalità organizzata, che pure prosperava nelle confinanti provincie di Palermo e Catania e nella vicinissima Reggio Calabria. Era questa una realtà ampiamente positiva che avrebbe comunque meritato di essere tenuta sotto controllo, non essendo ignota neppure allora la capacità di proliferazione e di contaminazione che è propria di tale tipo di criminalità, così che non era e non è immaginabile che una zona confinante con altra affetta dal morbo mafioso potesse rimanere a lungo indenne. Purtroppo, di ciò non si tenne debito conto e si preferì credere alle astratte teorie degli esperti di mafia, che ritenevano la Sicilia orientale, e in particolare le provincie di Messina e di Siracusa, non assoggettabile a tale tipo di criminalità per ragioni storiche, etniche, ambientali e sociologiche. Venne così imperdonabilmente abbassata la guardia, al punto di non percepire tempestivamente i primi inequivocabili segnali che denunziavano l’inquietante e minacciosa presenza in Messina della criminalità organizzata” <469.
Si tratta di un fatto accomunante – seppur in una lettura ad ampio spettro – la latente trasformazione delinquenziale della cittadina con quella avuta luogo in Calabria, entrambe temporalmente distanti dalle esperienze della Sicilia Occidentale ma non per questo meno insidiose nella loro potenzialità illecita.
Resta tuttavia palese lo scollamento esistente tra il dato processuale e la realtà descritta nelle saggistiche politiche e nelle fonti parlamentari, impegnate all’unisono nel raccontare le peculiarità di un territorio che, a ridosso della stagione del grande fermento sessantottino, seppe legare gangli dei sistemi di potere locali e nervature periferiche degli agenti eversivi. Così, a partire dai primi anni Settanta lungo lo stretto ebbe luogo l’evolversi di un vero e proprio sistema integrato criminale, di cui divenne camera di compensazione e cabina di regia l’Ateneo messinese. Al suo interno si registrarono la compresenza e l’alleanza del neofascismo proveniente da quattro diverse aree (Messina, Barcellona Pozzo di Gotto, Reggio Calabria, Grecia) e della criminalità organizzata (‘ndrangheta, mafia barcellonese). Un mix di forze eversive che esaltarono con attentati ed aggressioni le proprie capacità militari, dando inizio a una rete di relazioni politiche ed economiche che le legittimano come elementi del blocco sociale dominante <470.
L’humus su cui attecchì questo apparato polimorfe era già di per sé intriso da una forte ideologizzazione partitica su scala verticale. Dopo la debacle elettorale del 1968, e la morte del segretario Michelini dell’anno seguente, il Movimento Sociale Italiano a conduzione almirantiana optò per una linea di rinnovamento dell’agenda politica <471, fortificando le proprie roccaforti nel mezzogiorno. La Sicilia, che dal 1955 aveva mantenuto l’asticella del consenso elettorale missino sempre intorno al 10%, incrementò il bacino di voti con le elezioni regionali del 1970. Su un totale di novanta deputati all’ARS <472 ben 15 provennero dalle fila dell’organismo missino, con percentuali sopra al 20% nelle province di Catania (23%) e Trapani (21%) <473. Non fu da meno l’apporto fornito dal circondario messinese dove il Movimento Sociale seppe capitalizzare il corposo serbatoio elettorale fornito dalle sigle di rappresentanza universitaria. Dal 1961 al 1970 il Fronte Universitario d’azione nazionale (FUAN), assieme all’Unione Goliardica Italiana (UGI), fu egemone all’interno dell’ateneo messinese, approfittando di eventi speculari in netta controtendenza con la dinamica movimentista nazionale. Ad una frammentazione delle sigle comuniste, incapaci di promuovere un’azione di contrasto ad una Destra che nel 1972 si confermerà in Sicilia con la vittoria alle politiche, si sovrapposero le cointeressenze provenienti dal ceto baronale universitario, impegnato in una interna lotta per il potere, e dalla gestione ordinaria e quotidiana dell’Università, demandata all’opposto ad un sottoproletariato fedele alle dinamiche di potere ed alla permeazione dei grandi appalti pubblici <474.
I luoghi di produzione dei saperi furono in maniera incontrovertibile lo specchio della Sicilia del tempo. Essa fu un territorio attraversato da radicali processi di mutamento sociale, caratterizzati da una sperequazione abnorme tra il versante occidentale e quello orientale, e da una turbolenza sociale raccolta attorno all’insurrezione di Avola ed alle rivendicazioni contadine. Una trasformazione che indirettamente segnerà il volto delle contestazioni studentesche pre e post sessantotto, solidali con il sottoproletariato locale, ma stroncate nel pieno del loro svolgimento dalla devastazione sismica del Belice. Al cospetto di un sistema così composito e complesso gli storici coniarono la metafora delle “due Sicilie in due diverse società”, onnicomprensiva della diseguaglianza salariale insita nel dualismo riprodotto dalla fertilità delle piccole e medie industrie orientali e dall’opposta arretratezza produttiva di un versante occidentale depauperato dall’agente mafioso.
In una cornice regionalistica per molti aspetti controversa, Messina vestì gli abiti dell’ospite in casa propria. Terra di approdo per le compagini calabresi e luogo di latitanza privilegiata per le massime cariche della Cosa Nostra catanese e palermitana <475, la città vide integrarsi al dominio clientelare della Democrazia Cristiana <476, oramai egemonico nel capoluogo palermitano, quello della scuderia missina. Si trattò di una peculiarità tutta peloritana all’interno della quale il polo universitario divenne parallelamente “industria” ed epicentro della permeazione nelle grandi opere ed appalti pubblici da parte di una borghesia mafiosa che per tutelare i propri interessi speculativi garantì la saldatura fra network eversivo e criminale <477. A riprova di ciò l’11 febbraio 1998, una delegazione parlamentare della Commissione d’inchiesta antimafia <478 si recò proprio lungo lo stretto per incontrare il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Messina Dott. Bellitto, i sostituti procuratori Dott. Cassata e Dott. Minasi, il prof. Di Bella e il rettore del tempo Prof. Cuzzocrea. Dopo una serie di sopralluoghi ed incontri con i vertici delle autorità investigative del luogo, nel suo documento finale la Commissione sentenziò: “Quel territorio mostrava un volto tranquillo che non richiedeva, ad una osservazione superficiale, una collocazione di primo piano nel lavoro di indagine della Commissione. Ma si trattava di una interpretazione errata: Messina presentava e presenta caratteri, problemi, contraddizioni, emergenze che richiedevano, al contrario, un esame più urgente ed attento per comprendere il ruolo e la collocazione di quel territorio nel contesto della situazione siciliana. Queste sollecitazioni furono più volte introdotte nelle discussioni, ma mai trovarono quel consenso diffuso che indusse invece la Commissione a considerare Agrigento o Catania come realtà con un grado più alto di urgenza per il lavoro d’indagine. Dopo l’omicidio Bottari, fu anche una sollecitazione forte ed angosciata del procuratore generale, dottor Bellitto, ad indurre la Commissione a rompere ogni indugio. Quanto invece fosse fondata quella serie di sollecitazioni è convinzione che maturò rapidamente tra tutti i componenti della Commissione che parteciparono al sopralluogo fin dal primo giorno: Messina è una realtà che presenta caratteristiche allarmanti sia per ciò che concerne quell’idea della legalità che deve caratterizzare la vita di una comunità civile e democratica, sia per ciò che concerne l’attrezzatura di contrasto che lo Stato ha, via via, impiegato in quella realtà” <479.
Dietro l’apparente tranquillità “militare” del territorio messinese si annidarono dunque sistemi delegati di subappalto, coordinati dalle cosche del palermitano e del catanese i quali, coadiuvati da un massiccio dispiegamento di forze eversive, abusarono dell’apparente verginità della provincia peloritana per cucire rapporti con poteri occulti e stabilirvi i centri nevralgici del proprio agire anche all’indomani dei decreti ministeriali di scioglimento delle sigle maggiormente rappresentative. In questo senso, la strategicità della compartecipazione di uomini d’onore, picciotti e terroristi nell’hinterland orientale assume la dimensione di un costrutto narrativo che trascende il mero accertamento storico e va a collocarsi su un binario di interscambio la cui direzionalità ha poi rivestito un ruolo cardinale nel lavoro della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria <480.
[NOTE]
466 E. CICONTE, Storia criminale. La resistibile ascesa di mafia, ‘ndrangheta e camorra dall’Ottocento ai giorni nostri, Rubettino editore, Cosenza 2008, pp. 314-315.
467 Su tutte quelle di Ambrosi e Cuzzola.
468 Senato della Repubblica-Camera dei Deputati, Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e delle altre associazioni criminali similari, audizione del Procuratore distrettuale Antimafia di Messina e di alcuni sostituti procuratori della Direzione Distrettuale antimafia di Messina, XIII Legislatura, 28 aprile 1998, pp. 617-633.
469 Ibidem.
470 AA. VV., Le mani sull’Università: borghesi mafiosi e massoni nell’ateneo messinese, Comitato Messinese per la Pace e il Disarmo Unilaterale, prefazione di Francesco Forgione e Giuseppe Restifo, Armando Siciliano editore, Messina, 1998, pag. 18.
471 D. CONTI, L’anima nera della repubblica, Laterza, Bari, 2013, pag.61.
472 Assemblea Regionale Siciliana.
473 P. IGNAZI, I partiti in Italia dal 1945 al 2018, Il Mulino editore, Bologna, 2018, pag.113.
474 S. FAILLA, P. LA VILLA, I Sessantotto di Sicilia, Zerobook editore, Catania, 2016, pag. 227.
475 Su tutte le ormai conclamate latitanze del boss catanese Nitto Santapaola e dell’epigono della famiglia di Porta Nuova Gerlando Alberti Jr.
476 P. GINSBORG, Storia dell’Italia dal dopoguerra ad oggi, Einaudi editore, 2006, pag.388.
477 AA. VV., Le mani sull’Università: borghesi mafiosi e massoni nell’ateneo messinese, Comitato Messinese per la Pace e il Disarmo Unilaterale, prefazione di Francesco Forgione e Giuseppe Restifo, Armando Siciliano editore, Messina, 1998 pag.18.
478 Il gruppo era composto dagli Onorevoli Del Turco, Vendola, Curto, Centaro, Cirami, Figurelli, Firrarello, Pettinato, Bova, Carrara, Lumia, Mangiacavallo, Miccichè, Molinari.
479 Senato della Repubblica-Camera dei Deputati, Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e delle altre associazioni criminali similari, Relazione sulle risultanze dell’indagine concernente l’attività di repressione della criminalità organizzata nella provincia di Messina, Doc. XIII n.7, 28 aprile 1998, pp.8-9.
480 Tribunale Di Reggio Calabria Corte Di Assise Seconda Sezione P.P. Olimpia Sentenza Procedimento Penale Olimpia Nr. 46/93 R.G.N.R. D.D.A. Nr. 72/94 R. G.I.P. D.D.A N. 3/99 Sentenza N. 18/96 R.G. Assise.
Giuliano Benincasa, Criminalità Organizzata. Sviluppo, metamorfosi e contaminazione dei rapporti fra criminalità organizzata ed eversione neofascista: ibridazione del metodo del metodo mafioso o semplice convergenza oggettiva?, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2020-2021