E’ del 25 gennaio 1944 l’ufficializzazione della costituzione della 3^ Brigata d’assalto Lombardia: ne dà notizia «Il Combattente», organo dei distaccamenti e delle brigate Garibaldi. In allegato anche un primo calcolo ed un bilancio delle azioni gappistiche: trentatré di guerriglia solo a Milano su cinquantasei totali, 150 morti e un centinaio di feriti tra i tedeschi, ventuno morti e una decina di feriti tra i fascisti. A ciò si aggiungono: la distruzione di numerosi deposti d’armi e d’esplosivi, d’automezzi nemici e di una centrale elettrica. Tre i gappisti caduti in battaglia.
Gli attacchi continuano, ininterrottamente. Il 4 gennaio 1944 sono feriti un maresciallo tedesco e la sua amante, l’8 esplodono due ordigni in locali frequentati da militari tedeschi: sei morti, trenta feriti. Il 14 è eliminato uno squadrista della Motomeccanica, il 17 un caposquadra della GNR, il giorno dopo un milite. Il 20 si registra il ferimento del legionario Ettore Cappella in piazzale Loreto e sempre nello stesso giorno è liberato il partigiano Pierino Damonti ricoverato all’ospedale di Lodi.
Dopo il clamoroso attentato a Resega, i GAP ne preparano un altro ancor più eclatante. Colpire il neoquestore di Milano Camillo Santamaria Nicolini. Barbisun e Ninetto rientrati nei ranghi a seguito del precauzionale “stop alle operazioni” pianificano il tutto. Nicolini è perennemente sotto scorta: la sua casa è piantonata da quattro poliziotti, altri sostano nelle vie direttamente adiacenti, il questore si reca in ufficio scortato dagli agenti e preceduto da una motocicletta. Per ovvie ragioni i gappisti decidono di colpirlo a bordo di un’automobile. Gli altri uomini scelti per l’operazione sono: Sergio (Bassi), Cucciolo (Dino Giani), Elliot (Elio Sammarchi). Incrociata la macchina di Nicolini all’altezza di via Giulio Uberti, i gappisti fanno fuoco al finestrino posteriore (dove Nicolini è seduto in compagnia di suo cognato), al fianco sinistro e un’ultima scarica sulla facciata anteriore. Ma una sfortunata casualità ha impedito che il questore fosse soppresso: la repentina manovra dell’autista che con la sua brusca frenata, seguente la prima scarica, ha provocato la caduta in avanti dei due.
Di lì in poi, il mito della misteriosa “Lancia Aprilia Nera” attraverserà tutti gli strati della popolazione, glorificando ed enfatizzando (più di quanto si debba) l’ardore dei gappisti milanesi definiti dai fascisti nel post-attentato dei “gangster”.
Il primo periodo buio dei GAP si apre agli inizi di Febbraio ’44. Tutto nasce a seguito di un attacco alla sede del fascio di Sesto San Giovanni. Codesto rappresenterà l’ultima azione del distaccamento “5 Giornate” di Oreste Ghirotti e dell’allora commissario politico Luigi Ratti. Gli scarsi criteri selettivi e la vulnerabile vigilanza fanno sì che all’interno dell’organizzazione s’intrufolino delatori e franchi tiratori che spiffereranno i nomi di molti tra gli appartenenti ai GAP. Conseguentemente l’intero dispositivo gappista salterà con gli inevitabili arresti di massa. Cadono nelle mani della polizia fascista all’incirca cinquanta persone cui vanno aggiunti i trentatré arresti di marzo. Tra questi anche Ghirotti e Rubini che si suicideranno in carcere non riuscendo a sopportare ulteriormente le crudeli torture fasciste.
Barbisùn, nel suo j’accuse, definirà l’attacco alla casa del fascio «un errore sin dall’inizio» scagliandosi contro l’eccessiva faciloneria di alcuni suoi compagni e la fallace fiducia riposta in individui dall’ambigua moralità resistenziale.
Tranne alcune sparute apparizioni durante lo sciopero “insurrezionale” <17 di marzo e l’eliminazione di Salvatore Ettore, il distaccamento “5 Giornate” è completamente distrutto: si salvano alcune forze superstiti nei distaccamenti Gramsci, Rosselli e Matteotti. I rapporti del Comando militare e del Comitato federale del PCI datati 10 e 13 aprile analizzeranno alacremente l’accaduto. Alla ricerca di cause e responsabilità, il Comitato federale giunge alla conclusione che gli arresti siano dovuti: «all’azione di Sesto […], dalla penetrazione della provocazione nell’organizzazione militare e dal cattivo comportamento di una parte degli arrestati».
Inesperienza, mancanze non trascurabili, carenza di lavoro politico sugli appartenenti ai distaccamenti e l’illusione che la guerra al nazifascista si stesse concludendo a breve: tutto ciò ha giocato a sfavore dei GAP. Tra l’altro gli stessi militanti si dedicavano da tempo a «una vita oziosa, passando intere giornate nei caffè a giocare» con i comandanti dei distaccamenti e i loro uomini conosciuti reciprocamente da tutti. Le conclusioni cui giunge il Comitato Federale evidenziano anche le responsabilità del Comando Militare, accusato dell’imperdonabile accantonamento del lavoro politico sui gappisti a scapito di una direzione prettamente dirigista, tecnicista e militare. Autocritico anche il Comitato Federale che troppe volte ha sorvolato su «situazioni che si facevano sempre più pericolose», mancando d’iniziativa decisa e tempestiva anche nei riguardi del Comando. Quest’ultimo si dimostrava incapace nell’esercizio del controllo e dell’indirizzo di tutto il lavoro gappista, ragion per cui il Comitato Federale chiede una più chiara e nitida separazione dei compiti. La direzione e il controllo politico dovranno essere esercitati dal Comitato Federale che, conoscendo a fondo la realtà nella quale si muove, dovrà suggerire talvolta al Comando «il genere d’azioni che la situazione richiede». Si arriva quindi a rimescolare il sistema di rapporti vigente tra i due organi del PCI. Soluzione che non risolverà a pieno tutti i problemi esistenti, al contrario, più volte in seguito i dirigenti militari accuseranno il Comitato Federale “d’alienazione politica”.
Come si noterà nel prosieguo della trattazione, fattispecie con gli arresti che decapiteranno totalmente i GAP di Milano in aprile, i Comitati federali indirizzeranno la loro attività verso compiti prettamente organizzativi, d’agitazione e sindacali sulle masse e all’interno del CNL. Accantonando e trascurando il lavoro militare (seppur il loro contributo sia alquanto modesto), i comitati federali sfruttano scarsamente la profonda conoscenza della zona nella quale si muovono. Il loro raggio d’azione è vasto, con margini d’intervento immediatamente diretti, ed è improcrastinabile che si assumano maggiori e più importanti responsabilità nella lotta armata, non limitando il proprio compito a puri “consiglieri militari” del Comando.
[NOTA]
17 La più grande manifestazione di protesta mai avvenuta nei territori occupati. Il primo sciopero generale italiano dopo vent’anni di fascismo. Si calcola che un milione di lavoratori delle fabbriche di tutta Italia entrarono in sciopero. Le agitazioni del marzo ’44 dimostrarono un forte coagulo di un nuovo e più rinnovato consenso sociale, oltre ad un efficace potere organizzativo. Obiettivo dello sciopero fu lo spostamento dei gruppi e degli strati inferiori della classe dominante verso posizioni dichiaratamente antifasciste. Pur prefiggendosi l’intento di una “insurrezione nazionale”, lo sciopero evidenziò palesi lacune nelle rivendicazioni di tipo economico che lasciarono spazio all’atteggiamento passivo delle masse. Quest’ultime in attesa dell’intervento risolutore partigiano (completamente assente per cause di forza maggiore come si denoterà dalla trattazione) attutirono indirettamente la forza d’urto dell’azione operaia.
Giorgio Vitale, L’altra Resistenza. I GAP a Milano, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2008-2009
E tuttavia la critica e l’autocritica della Federazione comunista milanese riguardo la necessità di costituire gruppi armati di difesa e nuclei partigiani in fabbrica non supererà i limiti della teoria. Questa è anche la principale problematica emersa nel grande sciopero generale del marzo 1944. Preceduto dalla crisi dei GAP a seguito della disastrosa scelta di compiere un attentato alla Casa del Fascio di Sesto San Giovanni (da dove proveniva la quasi totalità dei primi gappisti), che aveva portato all’arresto e alla morte di tutti i suoi membri; preparato e organizzato secondo linee confuse, tra lo sciopero politico-rivendicativo e quello insurrezionale, creando quindi un’aspettativa non chiara nella classe operaia: tutto ciò, al netto dell’indubbio successo politico e del primato storico europeo rappresentato dalla classe operaia milanese durante la Seconda guerra mondiale, porterà a un netto ripiegamento soprattutto a causa dell’assenza di strutture di autodifesa al momento della durissima repressione nazifascista.
Vediamo ancora una volta la descrizione dataci da Borgomaneri: “Mercoledì 1° marzo 1944. Alle 10 in punto del mattino, seguendo le direttive impartite dal Comitato segreto d’agitazione del Piemonte, Lombardia e Liguria, gli operai incrociano le braccia in quasi tutte le fabbriche milanesi. Nelle prime ore del pomeriggio la partecipazione allo sciopero è totale e coinvolge anche settori impiegatizi di numerose fabbriche, della posta e della Stazione Centrale. L’astensione dal lavoro dei tipografi del Corriere della Sera, che per tre giorni impediranno l’uscita dell’edizione pomeridiana, e la compatta adesione dei tranvieri, contribuiscono a diffondere in tutta la cittadinanza l’immagine di quella che passerà alla storia come la più grande e riuscita mobilitazione di massa mai avvenuta nell’Europa occupata.”
Tuttavia, già dal secondo giorno, la tendenza è a starsene a casa per evitare l’imprigionamento e la deportazione, o peggio; diffusa, secondo i rapporti dei comitati comunisti <281, la sensazione di debolezza per la mancanza di armi; forte, soprattutto negli ultimi giorni e in quelli successivi, il rammarico e la delusione perché nessun supporto partigiano è arrivato. Quando il giorno 8 gli operai rientrano in fabbrica, l’agitazione cessa senza seguire le direttive degli organizzatori.
Lo sciopero del marzo 1944 rappresenta sicuramente uno spartiacque e chiude la prima fase conflittuale apertasi un anno prima, dove si è provato a costruire una politica del conflitto capace di transitare la conflittualità sociale, il malcontento popolare dalla sopravvivenza all’antifascismo militante. Soprattutto, si è dimostrata l’incapacità della lotta armata, per come era stata concepita dal settembre, di connettersi con la lotta di massa, portando quindi a una sua profonda ristrutturazione.
[NOTE]
280 L. Borgomaneri, op. cit., p. 19
281 In particolare, cfr. Rapporto conclusivo sugli insegnamenti dello sciopero generale di Milano e provincia dell’1-8 marzo 1944; Considerazioni ed esperienze da trarre dal grande sciopero generale del 1-8 marzo 1944, entrambi in L. Borgomaneri, op. cit., pp. 110-12
Elio Catania, Il conflitto sociale: “motore della Storia” o “tabù” storico-politico. Il caso di Milano nel secondo dopoguerra, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Anno Accademico 2016-2017