Gorizia, Trieste, Cervignano del Friuli, Milano

Trieste, Piazza Unità d’Italia, in una ormai datata foto di famiglia

La prozia materna là, in quell’agosto del 1966, a Lucinico di Gorizia, mi indicava da lontano alcuni luoghi delle battaglie dell’Isonzo. Al ritorno in Riviera, il nonno Maini, che pur aveva nella Grande Guerra combattuto, ma da altre parti, mi ripeteva, data la sua passione per la storia, in stretto dialetto  parmigiano le quote altimetriche di quei siti.

Chissà perché ero arrivato in quella casa di campagna proprio al ritorno della nonna, della zia più giovane e di mio fratello da una visita da loro fatta oltre frontiera ad una bisnonna (che io non conobbi mai!) e ad altri parenti sloveni, per lo più del ramo del nonno.

Con alcune escursioni in compagnia di mio fratello verso Gorizia e Trieste inaugurai la maledizione della macchina fotografica, nel senso che per anni e anni a venire, se lasciato da solo, non sarei mai riuscito a fare funzionare quell’apparecchio. Poi imparò mio fratello, ma questa è un’altra storia. In ogni caso una fotografia (era la prima del rullino: mio padre aveva lasciato tutto pronto!) dall’alto del Castello di Gorizia, comprensiva, forse, di qualche scorcio dell’allora Jugoslavia, era venuta bene, ma non so dove sia finita. Dei Castelli di Miramare e di San Giusto, di una nave militare a visite libere nel porto di Trieste e di altro ancora non sono, pertanto, in grado di documentare niente.

Da solo me ne andai un pomeriggio a fare un’improvvisata a Cervignano del Friuli ad un compagno del campeggio “premio” del Ministero della Pubblica Istruzione, che avevo frequentato a Lavarone (TN) nella prima quindicina di luglio di quell’anno. Sbagliai a non deviare (o tornare, magari, il giorno dopo) per la vicina Aquileia, dai meravigliosi monumenti e parco archeologico, dove, alla fine non sarei mai stato.

Forse era imminente il nostro rientro. Ci incontrammo a Milano, noi, la delegazione in arrivo dal nord-est, con nostro padre, nostra madre e nostra sorella. A distanza di tempo rimane per me un mistero come avessimo potuto coordinarci in modo tanto perfetto. In ogni caso, in mano a nostro padre quella macchina fotografica riprese a fare meraviglie con diversi scatti in una metropoli, per il periodo in parola, analogo a questo corrente, pressoché deserta. E con il sottoscritto scuro in volto per i meritati rimbrotti subiti per avere attentato alla funzionalità della preziosa Nettar di mio padre.