Gino inizia precocissimo ad entrare in contatto con l’ideologia comunista

La mia intenzione con questa ricerca è di presentare un romanzo sulla lotta partigiana poco conosciuto ai più: si tratta di “Viva Babeuf!” <28, di Gino Vermicelli, che racconta le avventure di una brigata partigiana nelle valli ossolane e ripercorre gli avvenimenti storici di quel periodo, con particolare attenzione alla creazione della Repubblica dell’Ossola, che ha avuto poca vita ma è stato un importante tentativo di governo democratico nato in un paese da vent’anni sottoposto alla dittatura.
Prima di concentrarci sull’opera, ritengo sia utile considerare la vita e il pensiero di Gino Vermicelli, poiché questi sono due elementi che a mio parere è importante conoscere per un’analisi completa del romanzo.
La biografia di Gino Vermicelli
1.1. L’infanzia
Gino Vermicelli nasce a Novara nell’aprile del 1922: il padre, Rinaldo, è addetto alla manutenzione in una fabbrica di cotone, mentre la madre, Ida Dalleolle, è casalinga; Gino ha anche un fratello di sei anni più grande, Italo. Purtroppo nel 1929 il padre muore, così la madre decide di emigrare con i figli in Francia, dove erano già scappati altri parenti stretti per problemi con il regime. Si stabiliscono a Beson, nella banlieue parigina, a ovest della Senna; la vita in Francia è inizialmente piuttosto dura, poiché la madre può lavorare solo in nero. Nel 1932 un altro lutto colpisce la famiglia, poiché muore anche il fratello Italo. Finita la scuola nel 1935, Gino inizia a lavorare: è aiutante muratore, fabbro, poi si specializza nella lavorazione del ferro battuto.
1.2. I primi contatti con il mondo politico
Intanto la famiglia si è ambientata e la madre, per poter lavorare, ha trasformato la sua casa in una piccola mensa: lì pranzano molti operai italiani politicizzati, anche loro emigrati in Francia dall’Italia e dall’America del Sud per problemi politici; è attraverso loro che Gino inizia precocissimo ad entrare in contatto con l’ideologia comunista. Comincia a leggere avidamente qualsiasi opuscolo, giornale o romanzo che queste persone gli passano sottobanco: ama soprattutto Zola e Victor Hugo. Insieme a questi operai partecipa anche al raduno di antifascisti per la commemorazione della morte di Gramsci, tenutosi clandestinamente a Parigi. Vive con gli occhi di un ragazzino di dodici anni gli avvenimenti del ’34, il tentato colpo di stato da parte della destra fascista, la creazione del Fronte Popolare, le numerose riforme a favore della classe operaia fatte dal governo di coalizione antifascista. Intanto continua a lavorare il ferro battuto, presso la ditta di un ebreo a Montreuil; a quattordici anni prende la tessera dei sindacati, che offre una pensione integrativa e corsi di formazione professionale, frequentando i quali egli entra in contatto con molti altri antifascisti italiani.
Il Fronte Popolare garantisce un clima di tolleranza ideologica alle varie organizzazioni antifasciste: a Parigi nasce l’Unione Popolare Italiana, che tiene congressi annuali in tutta la Francia e pubblica un settimanale, distribuito tranquillamente nelle edicole. All’interno di questa organizzazione, Vermicelli conosce molte personalità importanti, come Alessandro Bocconi, Giuliano Pajetta, Romano Cocchi. Sono numerosi anche i circoli giovanili antifascisti di lingua italiana, al cui interno si organizzano riunioni politiche, gite, campeggi: Gino diventa segretario di uno di questi.
All’età di sedici anni è già un perfetto comunista: nonostante capisca poco dell’intera dottrina marxista, la sua curiosità e la sua sete di conoscenza sono infinite. Dopo il patto di Monaco, però, la frattura tra socialisti e comunisti pone fine all’esperienza del Fronte Popolare e rende il clima politico più pericoloso: vengono sciolte tutte le organizzazioni antifasciste, compresi i circoli giovanili. Il Partito Comunista Francese continua ad esistere, ma Gino non è ancora iscritto: si considera un simpatizzante che si dedica saltuariamente alla propaganda di massa. Alla fine lo iscrivono alcuni suoi amici antifascisti, all’indomani del patto Ribbentrop-Molotov.
Nel frattempo sulla scena internazionale è scoppiata la Seconda Guerra Mondiale: presto Gino rimane senza lavoro e deve adattarsi a fare il saldatore. Il 18 giugno 1940 le truppe tedesche entrano a Parigi: molti scappano, ma Vermicelli e la madre restano in città poiché, essendo italiani, non hanno niente da temere, dal momento che Mussolini si è da poco alleato con Hitler. I Tedeschi riorganizzano presto le strutture dello stato, e Gino lavora per un po’ all’aeroporto di Bourget, poi nei campi di barbabietole, ma la situazione non è buona: il cibo scarseggia, e nell’inverno del ’41 egli si ammala gravemente. Rimessosi in forze, presto riallaccia i contatti con i comunisti francesi: con uno di loro si trasferisce per un breve periodo nella zona libera, lavorando come bracciante nelle cascine attorno a Saint Malò. Lì conosce una anziana donna che sta aspettando ogni giorno il ritorno del figlio Edouard, scappato in Inghilterra: da lui Gino prenderà il suo nome di battaglia come partigiano. Finita la stagione agricola, Vermicelli decide di tornare dalla madre, che si è trasferita a casa del fratello rimasto vedovo: nonostante avesse vissuto in campagna, Gino è informato sull’andamento della guerra in modo dettagliato grazie a Radio Londra.
Riprende presto i contatti con i compagni di partito e viene addirittura chiamato dal responsabile quadri del PCF, il quale gli propone di diventare funzionario di partito.
1.3. Gino Vermicelli funzionario del PCF
Nuova vita, residenza e identità: viene saltuariamente convocato dal responsabile dei gruppi comunisti di lingua straniera per sapere le novità, i compiti da svolgere e per ricevere denaro dal partito, che lo mantiene; presto diventa responsabile dei giovani italiani nella zona occupata con il compito di mantenere in vita l’organizzazione. Riesce in poco tempo a radunare un centinaio di persone, divise in gruppetti di tre, a cui sono affidati incarichi di propaganda, piccolo sabotaggio e reclutamento.
Vermicelli ricorda così quel periodo: “Giovani antifascisti militanti, ma giovani nonostante la guerra. Insomma, non potevamo non divertirci”. <29
Dopo il 25 luglio [1943], il partito decide di mandarlo in Italia, per organizzare la Resistenza e ricostituire le forze politiche: lui parte con il treno portando con sé una valigia a doppio fondo che contiene “cose preziosissime” <30 da consegnare al partito: il “Che fare” <31, “Stato e rivoluzione” <32, la storia del Pcus.
[NOTE]
28 Gino Vermicelli, Viva Babeuf!, prefazione di Rossana Rossanda, Roma – Verbania, Ed. Margaroli, 1984.
29 Gino Vermicelli, Babeuf, Togliatti e gli altri. Racconto di una vita, a cura di Mauro Begozzi, Giovanni Battista Margaroli, Gianmaria Ottolini, con prefazione di Valentino Parlato, Verbania, Tararà, 2000, p. 51.
30 Ivi, p. 53.
31 Nikolaj Lenin, Che fare, Roma, Editori Riuniti, 1986.
32 N. Lenin, Stato e rivoluzione, Roma, Newton Compton, 1971.
33 “La Lotta”, Novara (1947-1961).
Sara Lorenzetti, Gino Vermicelli tra Resistenza e scrittura, Tesi di laurea, Università degli Studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro, Anno accademico 2006-2007