Flaiano, in Etiopia come sottotenente tra il 1935 e il 1936

A Roma Flaiano riprende la collaborazione con «Quadrivio» e ritrova l’amica norvegese Lilli <2, conosciuta negli anni Trenta, alla quale continuerà a scrivere anche quando lei tornerà in patria. Nel gennaio del 1939 pubblica su «Cinema» la sua prima recensione: Le ispirazioni sbagliate <3. Un titolo simbolico, poiché indubbiamente, per tutta la sua vita, Ennio Flaiano ha raccontato “ispirazioni sbagliate”, ambizioni deluse, inganni.
Riprende la collaborazione con Pannunzio, a cui consegna un saggio su Valadier, che doveva essere pubblicato su «Omnibus», ma la rivista è chiusa dalla censura fascista. Trasformato in un articolo, il testo viene pubblicato qualche mese dopo sul nuovo «Oggi», diretto da Pannunzio e Arrigo Benedetti, dove Flaiano si occupa inizialmente di cinema, per poi passare alla rubrica Teatro romano, di cui sarà il titolare fino alla chiusura – anche questa per opera della censura fascista <4 – avvenuta nel gennaio del 1942 <5.
[…] «Mario Pannunzio e Leo Longanesi ebbero un’importanza decisiva perché mi fornirono i mezzi per mettermi a scrivere», ma anche perché diedero a Flaiano – che, morta la madre, non aveva più motivi per tornare a Pescara – un gruppo a cui appartenere: le redazioni dei giornali che frequenterà per tutta la vita. Spesso le tradirà, lusingato dal cinema, dalla letteratura, dal teatro, dai viaggi, ma la morte lo coglierà ancora intento a scrivere articoli per i giornali.
Collabora a «Cine Illustrato» firmando le prime dieci recensioni con lo pseudonimo Patrizio Rossi, modificato il 14 febbraio 1940, in Elio Flaiano. Solo dal numero successivo egli comincia a firmare con il proprio nome. Probabilmente Flaiano era ricorso a uno pseudonimo <7 a causa del suo impegno con «Oggi».
[…] Verso la fine degli anni Trenta lo scrittore è impegnato nella stesura di due romanzi: Il Cavastivali, viaggio nella terra delle ipotesi <30 e un testo mai portato a termine, su don Oreste de Amicis, un prete di Cappelle sul Tavo, vissuto alla fine dell’Ottocento. Don Oreste fu un «matto di Dio» che, sulla scorta di Davide Lazzaretti e dei movimenti millenaristi, si proclamò Novello Messia e vagò per le campagne abruzzesi compiendo miracoli e raccogliendo proseliti. Il progettato romanzo, nonché il racconto Don Oreste ovvero la vocazione eccessiva, pubblicato nell’aprile del 1941 su «Documento», a firma Ennio Di Michele (il cognome della madre), si ispiravano a un quaderno di uno zio materno, Orazio Di Michele, che era stato parroco dello stesso paesino abruzzese, agli inizi del Novecento.
Tornando ai pochi numeri del nuovo «Oggi» prima della chiusura, è interessante aggiungere che su questo settimanale esisteva una rubrica Le ombre bianche, firmata da un non meglio identificato «Il pescatore d’ombre». Lo stile di questi articoli ricorda quello di Flaiano che, a distanza di circa trent’anni, pubblicherà il suo ultimo libro con il medesimo titolo della rubrica.
Nel corso del 1942 Flaiano inizia la sua attività nel cinema, collaborando a Pastor Angelicus, un film diretto da Romolo Marcellini, scritto dallo stesso Flaiano e da Diego Fabbri, Andrea Lazzarini e Romolo Marcellini, mentre il soggetto era di Luigi Gedda. Il film narra la vita di Eugenio Pacelli fino all’elezione al soglio di Pietro. In Pastor Angelicus, utilizzando molto materiale di repertorio, viene descritta la giornata del Papa in Vaticano, i suoi contatti con la gente, con i bambini, con i soldati che partono o che tornano dal fronte per una breve licenza, nonché le cerimonie che uniscono il Pontefice ai fedeli, alle folle che si aprono genuflettendosi al suo passaggio e che ascoltano emozionate la parola del Pastor Angelicus. Il film, che si chiude con la ripresa della solenne celebrazione del Giubileo episcopale in San Pietro, è commentato da Silvio d’Amico.
[…] Il film che doveva dirigere Pannunzio era Il Cardinale, tratto dalla commedia di Louis N. Parker, un popolare cavallo di battaglia dei grandi attori di teatro, come Zacconi e Salvini. Dopo l’abbandono di Pannunzio, alla regia subentrò Luigi Zampa, già cosceneggiatore assieme a Flaiano, Pannunzio, Riccardo Freda e Gherardo Gherardi, ma anche in questo caso, con l’8 settembre, la lavorazione fu sospesa. Dopo la liberazione di Roma, il materiale girato fu ripreso da Zampa e portato a termine con il titolo L’abito nero da sposa, per venire poi distribuito nelle sale solo nel 1945.
Un analogo destino toccò anche a La freccia nel fianco, diretto da Alberto Lattuada, tratto dal romanzo di Luciano Zuccoli del 1913. Cosceneggiatori con Flaiano furono Alberto Moravia, Cesare Zavattini, Carlo Musso, Ivo Perilli e Lattuada stesso. Il film, iniziato dopo il 25 luglio del 1943, fu interrotto il 10 settembre, mentre la troupe era in esterni, ad Arsoli (che si trova molto vicino ad Anticoli Corrado, dove si era rifugiato Flaiano nello stesso periodo). Il film, prodotto da Carlo Ponti, venne ripreso dopo la liberazione di Roma e fu distribuito solo nel 1945.
[…] Flaiano riteneva che fosse stato Giannini, nel 1942, a causare la chiusura di «Oggi» da parte della censura fascista e, per questo, lo attaccò duramente, iniziando una vivace polemica. In un primo momento il direttore del «Secolo XX», Manlio Lupinacci, gli manifestò la sua solidarietà, scrivendo, il 26 gennaio 1946, che Flaiano «insultato aspramente e condotto, da uno scherzo abbastanza innocente, sul terreno di una polemica a base di ingiurie personali, persino sul proprio fisico, ha reagito come vuole il suo temperamento di uomo e di scrittore e producendo, sempre in sede di risposta polemica, quei torti che egli crede di aver ricevuto dal Giannini in passato» <57.
[NOTE]
2 Lilly, come scrive Flaiano nella lettera a Orfeo Tamburi del 1933, pubblicata in ENNIO FLAIANO, Soltanto le parole. Lettere di e a Ennio Flaiano (1933-1972), cit., p. 5, oppure Lilli, come appare in altre due lettere del 1933, pubblicate anche queste nello stesso libro, pp. 6 e 9-10. Lilli (Lydia) Nostini disegnatrice, come scrive Anna Longoni nella nota 6 della lettera 2 (p. 430), oppure Lilli Gjerlöw-Fliflet, come scrive più avanti sempre la Longoni (nota 2 della lettera 14, p. 438). O, ancora, «l’amica norvegese Lilli Nostini, conosciuta all’inizio degli anni Trenta», secondo Lucilla Sergiacomo, nel suo Invito alla lettura di Ennio Flaiano, cit., p. 14. In realtà è stato lo stesso Flaiano a creare l’equivoco, con una lettera dell’autunno del 1938, le cui prime parole sono: «Carissima Lilli, Lydia, Lida, Lido, Sabbia, Mare»; ora in ENNIO FLAIANO, Lettere a Lilli e altri segni, Milano, Rosellina Archinto, 1986, p. 39. Presumibilmente Lilli Gjerlöw-Fliflet coniugata Nostini.
3 Cfr. LUCILLA SERGIACOMO, Invito alla lettura di Ennio Flaiano, cit., p. 14.
4 Secondo Flaiano la chiusura della rivista fu causata da una segnalazione-denuncia che Guglielmo Giannini, il futuro fondatore del Fronte dell’Uomo Qualunque, aveva fatto su di un suo pezzo di critica teatrale. La polemica riprese nel gennaio del 1946.
5 Nell’articolo Un breve epistolario, «Il Mondo», XXI, 892, 25-31 gennaio 1969, pp. 1-2, Flaiano ricorda: «Perdetti di vista Pannunzio e lo rividi nel ’39, quando andai a portargli ad «Omnibus», un lungo saggio sul Valadier, che mi era costato anche ricerche in biblioteca. Il saggio, un po’ ridotto, uscì qualche mese dopo sulla rivista che prendeva il posto di «Omnibus», soppresso dai fascisti. La nuova rivista si chiamava «Oggi» e la dirigeva Pannunzio assieme a Benedetti. Ne divenni anche il critico cinematografico, e poi, non sono mai riuscito a sapere perché, teatrale. Anche questa nuova rivista fu soppressa nel ’42» (in GIAN CARLO BERTELLI e PIER MARCO DE SANTI (a cura di), Omaggio a Flaiano, cit., p. 34).
7 Nel corso della sua carriera Flaiano è ricorso a diversi pseudonimi: Patrizio Rossi, Elio Flaiano, Ennio Di Michele, Ezio Bassetto, Lelio, Carlo Patrizi, Pickwick. Per un elenco completo si rimanda a LIDA BUCCELLA (a cura di), Ennio Flaiano e la critica. Ricognizioni bibliografiche (1946-1992), Pescara, Ediars-Oggi e Domani, 1993, pp. 121-124.
30 Nelle successive redazioni Viaggi e crociere (1938-1940), Nuovi viaggi e pensieri di Marco Polo e infine, nel 1945, Il supplemento ai viaggi di Marco Polo. Pubblicato in ENNIO FLAIANO, Diario notturno, Milano, Bompiani, 1956.
57 ENNIO FLAIANO, Soltanto le parole. Lettere di e a Ennio Flaiano (1933-1972), cit., p. 433.
Fabrizio Natalini, Ennio Flaiano una vita nel cinema, Artemide Edizioni, 2005

[…] Flaiano, in Etiopia come sottotenente tra il 1935 e il 1936.
È possibile immaginarlo intento a riportare nel proprio taccuino gli appunti che formano Aethiopia. Appunti per una canzonetta e che rappresentano la fase avantestuale del romanzo che vinse il premio Strega nel 1947, Tempo di uccidere.
Se però il tono degli appunti è in prevalenza satirico e quasi disincantato, richiamando il Flaiano posteriore, il romanzo è permeato di una fortissima «angoscia esistenziale» <176. Questo aspetto informa sull’esigenza di considerare la matrice autobiografica di Tempo di uccidere come distribuita su due livelli: anzitutto l’esperienza della guerra, vissuta da Flaiano in prima persona e riportata prima sui taccuini e poi nel romanzo; in secondo luogo, più in profondità, l’esigenza di consegnare alla scrittura il tormento derivante dalla malattia della figlia Lelè, affetta da una lesione cerebrale congenita.
Secondo Anna Longoni, Flaiano considerò il romanzo «un pegno da pagare per accedere all’universo letterario e insieme per liberarsi, attraverso la costruzione complessa di un evento narrato, di un proprio disagio esistenziale» <177.
Del resto, sempre Longoni ricorda che nella nota che accompagnava la ristampa di Tempo di uccidere del 1968, nel ringraziare Maria Bellonci autrice dell’introduzione, Flaiano parlò proprio «della necessità non vile […] di scriverlo così in fretta, come una confessione e una speranza» <178.
Gli appunti di Aethiopia sono il resoconto puntuale di fatti e avvenimenti visti e vissuti in prima persona, inseriti poi nel romanzo sotto forma di narrazione. La lettura parallela di appunti e romanzo permette di riscontrare, com’è ovvio, nuclei tematici comuni, ma anche di riconoscere una sostanziale e profonda differenza di tono: gli accenti satirici e disincantati degli appunti (simili al Flaiano posteriore) collidono con il senso di angoscia che permea le pagine del romanzo e che sarebbe, dunque, riconducibile proprio al nucleo privato dell’autore, che scrisse un testo da ritenersi un unicum in due sensi. In primo luogo, infatti, il romanzo che tiene la guerra sullo sfondo uscì nel 1947, anno in cui furono dati alle stampe anche opere neorealiste come Il compagno di Pavese, Il sentiero dei nidi di ragno di Calvino, Il cielo è rosso di Berto, L’oro di Napoli di Marotta, Cronaca familiare di Pratolini e Spaccanapoli di Rea. In secondo luogo, Tempo di uccidere è l’unico romanzo di Ennio Flaiano. Dal punto di vista linguistico il testo è disseminato di frasi lapidarie che rimandano alla misura breve dell’aforisma e dello schizzo:
“L’Africa è lo sgabuzzino delle porcherie. <179
questi uomini evitano la gelosia e danno alle cose il loro giusto valore. Costretti a vivere in una natura abbastanza drammatica, il loro desiderio non si eccita nel dramma. <180
la bellezza che si ritrova nei sogni è prudente lasciarla sul cuscino (o nelle boscaglie), e non portarsela in giro: si rischia di dover fornire troppe spiegazioni. <181
Quando si comincia (risposi) si continua, e forse non si tratta di nuovi capitoli, ma di perfezionare il primo”. <182
Questi pochi esempi rendono conto della vocazione che in Flaiano sarà poi totale adesione e tuttavia non annullano l’importanza di Tempo di uccidere come “atto illocutorio”, anzi, proprio lo stridore tra il tono lapidario delle proposizioni e la forma espressiva nella quale si trovano inseriti costituisce motivo di riflessione.
Prendo nuovamente in prestito le parole di Cordelli, ammiratore dichiarato di Flaiano e convinto che, nel 1947, con Tempo di uccidere, egli avesse già scritto «il suo più grande libro, quello che lo riassume» <183. È proprio la consapevolezza che Flaiano amò altri tipi di testualità a far risaltare la singolarità di un testo (di natura latamente autobiografica) che si staglia sullo sfondo di opere da essa del tutto difformi.
[NOTE]
176 A. LONGONI, “Introduzione” a E. FLAIANO, Tempo di uccidere, Milano, Rizzoli, 2010, p. 11.
177 Ivi, p. 7.
178 Ibidem.
179 E. FLAIANO, Tempo di uccidere, cit., p. 18.
180 Ivi, p. 38.
181 Ivi, p. 40.
182 Ivi, p. 192.
183 F. CORDELLI, O Flaiano o morte, in ID., Lontano dal romanzo, cit., pp. 134-138. La citazione è a p. 136.
Cristina Michielon, Riflessioni sul ruolo dell’autore nel panorama letterario italiano contemporaneo, Tesi di Laurea, Università Ca’ Foscari Venezia, Anno Accademico 2013/2014

La prima tappa di questo iter di transizione è rappresentata dalla collaborazione di Savinio al periodico illustrato «Il Mediterraneo», fondato a Roma nel 1931 da Giuseppe Bucciante, e da lui diretto fino al 1943. La rivista, organo del Centro di Studi Mediterranei, nasce in formato mensile, per poi divenire un settimanale a partire dall’ottobre 1938 <16.
Si tratta di un giornale apertamente fascista, il cui principale obbiettivo consiste – come suggerisce il titolo – nel monitorare il ruolo e le conquiste del fascismo nell’area del Mare Nostrum, con particolare attenzione al consolidarsi della dittatura franchista in Spagna <17 e, in seguito, all’evolversi della guerra.
La pagina culturale era animata da firme di rilievo come Corrado Alvaro, Bruno Barilli, Goffredo Bellonci, Ugo Betti, Massimo Bontempelli, Irene Brin, Emilio Cecchi, Ennio Flaiano, Eugenio Giovannetti, Mario Missiroli (in parte, è lo stesso gruppo di «Omnibus»); ogni sezione era arricchita da un vasto apparato di immagini sia a colori sia in bianco e nero, anche se il periodico non raggiunse mai i raffinati livelli di impaginazione e uso arguto delle immagini che poteva invece vantare «Omnibus».
[…] Si tratta di «Oggi», settimanale di attualità e letteratura fondato nel 1939 e diretto da Arrigo Benedetti e Mario Pannunzio (a cui Savinio collaborò tra il luglio 1939 e il dicembre 1942), e di «Prospettive», mensile fondato e diretto nel 1937 da Curzio Malaparte (a cui Savinio collaborò tra l’ottobre 1939 e il gennaio 1940).
«Oggi», che iniziò le pubblicazioni appena quattro mesi dopo la soppressione di «Omnibus» (il primo numero uscì il 3 giugno 1939), sotto certi aspetti si propose di raccoglierne l’eredità, imitandone la veste grafica, favorendo la presenza di rubriche innovatrici, perseguendo un uso intelligente delle fotografie. La rosa stessa dei collaboratori conferma la tendenza del settimanale, che accolse le firme di Bruno Barilli, Ennio Flaiano, Vitaliano Brancati, Augusto Guerriero e, naturalmente, di Alberto Savinio. Quest’ultimo scrisse con regolarità su «Oggi» tra il 22 luglio 1939 e il 31 gennaio 1942, ovvero fino al momento in cui la rivista fu soppressa (anche in questo caso seguendo le sorti di «Omnibus») per ordine del regime <43.
[NOTE]
16 In concomitanza con la proclamazione dell’Impero, «Il Mediterraneo» acquista come sottotitolo «rivista illustrata dell’Impero»; tale sottotitolo viene però modificato con il passaggio al formato settimanale, per diventare «settimanale politico illustrato di attualità».
17 Per questo motivo, per tutto il 1940 e il 1941 le didascalie delle illustrazioni vengono proposte sia in italiano sia in spagnolo.
43 «Oggi» venne soppresso da Mussolini dopo che l’ammiraglio Gino Ducci vi aveva pubblicato un articolo (La guerra degli Oceani, in «Oggi», IV, 5, 31 gennaio 1942, p. 3), in cui prendeva atto con lucidità della potenza militare americana ancora in grado, nonostante Pearl Harbor, di effettuare sbarchi sulle coste settentrionali dell’Europa (su Gino Ducci si rimanda al libro di memorie del figlio Roberto, La bella gioventù, Bologna, Il Mulino, 1996). Come tuttavia nota Simonetta Fiori, l’articolo di Ducci non fu che un pretesto per mettere a tacere un rotocalco che, negli anni, aveva percorso la strada dell’antifascismo fino in fondo, opponendosi al regime sempre più consapevolmente (Simonetta Fiori, Negli anni del fascismo un rotocalco anomalo: «Oggi» 1939-1942, in «La Rassegna della letteratura italiana», XXXIII, 1-2, gennaio-agosto 1986, pp. 159-176).
Lucilla Lijoi, Il sognatore sveglio. Alberto Savinio 1933-1943, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Genova, 2019

D.: Come mai in un’opera così importante – come un lungometraggio che viene fatto sul Papa in periodo di guerra – viene messo di mezzo un ragazzino come te, che all’epoca avrai avuto vent’anni? Non bastavano le tue credenziali di cine-gufista: c’è comunque uno scarto tra il tuo curriculum, la tua anagrafe e questo Pastor angelicus. Si forma una strana coppia, perché ti trovi come aiuto regista un uomo, che poi nel dopo guerra diverrà un campione del laicismo, come Ennio Flaiano.
R.: Ho partecipato alla nascita del cinema cattolico come fratello minore perché avevo un sodalizio, che è durato negli anni, con Diego Fabbri, che è stato il più importante scrittore e cineasta cattolico. E anche con Flaiano, perché successivamente ho realizzato anche dei suoi film, e ho sempre sognato di portare sullo schermo Tempo di uccidere, che considero il più grande romanzo del Novecento italiano. Accanto a loro io ero – come dire – il ragazzo di bottega. Ero presente a tutte le riprese, proprio come ragazzo che va a prendere le sigarette, in un certo senso, per dire in un modo figurato qual’era la mia funzione.
Intervista a Turi Vasile di Tatti Sanguineti (rielaborazione di Ermanno Taviani), La propaganda dei Comitati civici e le elezioni del 1948 in (a cura di) Ermanno Taviani, Propaganda, cinema e politica 1945-1975, Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, Annali 11, 2008

Altra donna tormentata è Nicoletta Dossena ne La freccia nel fianco (1943) di Alberto Lattuada. Il film è un adattamento in epoca moderna del romanzo popolare <1233 di Luciano Zuccoli pubblicato nel 1913 e uscito a puntate nello stesso anno sul periodico «La Lettura».
Un film di ripiego per il regista dopo il tentativo fallito di portare sullo schermo Gli indifferenti di Alberto Moravia, a causa dell’opposizione del nuovo direttore del Ministero della Cultura Popolare Gaetano Polverelli <1234 che lo indusse a interrompere la lavorazione.
Lattuada propose alla censura altri adattamenti, ma non ottenne alcuna approvazione. Il romanzo di Zuccoli attirò il suo interesse per i contenuti freudiani della storia, come riferisce lo stesso regista: “E allora mi rifugiai nella psicanalisi, vediamo se per quella strada lì ci possiamo far notare, e siccome Zuccoli è un creatore di storie scritte malissimo ma molto interessanti come nocciolo drammatico, mi fermai su La freccia nel fianco, l’amore del bambino per la ragazza, il divario di tempo e di età, si ritrovano lei donna lui giovanissimo, e il loro amore si conclude tragicamente con il suicidio di lei”. <1235
C’era però da far accettare la presenza di un argomento tabù per il regime, ovvero il suicidio di Nicoletta Dossena, la protagonista. Pare che sia stata la Lotti, all’epoca una delle dive più acclamate del firmamento divistico nostrano, ad ottenere, addirittura da Galeazzo Ciano, l’autorizzazione a girare la scena del suicidio finale.
Lattuada iniziò la lavorazione del film durante la guerra, ma dovette interromperla l’8 settembre. Il produttore Carlo Ponti decise, alla conclusione del conflitto, di chiamare a raccolta il gruppo per continuare il film. Furono necessari parecchi cambiamenti di maestranze e protagonisti; il più vistoso cambiamento fu la sostituzione di Vittorio Gassman con Leonardo Cortese nella parte di Bruno Traldi. La freccia nel fianco uscì distribuito dalla Lux tra l’ottobre 1945 e il gennaio 1946. Piuttosto negativo il giudizio critico: da Mario Gromo su «La Nuova Stampa» <1236 a Umberto Barbaro su «L’Unità», <1237 a Fabrizio Sarazani su «Il Tempo». <1238
La sceneggiatura porta firme prestigiose: Alberto Moravia, Ennio Flaiano, Cesare Zavattini, Ivo Perilli, oltre a Lattuada. Gli autori hanno raffreddato il tono da feuiletton ottocentesco e l’accesa sensualità di derivazione dannunziana, presente nel romanzo di Zuccoli, per approfondire maggiormente l’interazione tra i tre personaggi protagonisti: Nicoletta Dossena, il conte Bruno Traldi (Leonardo Cortese) e Luigi Barbano (Roldano Lupi). Hanno creato, quindi, fin dall’inizio, <1239 pur rimanendo abbastanza fedeli al testo letterario, un mènage-à-trois che poteva fare molta presa sul pubblico cinematografico, avido di melodrammi a forti tinte e soprattutto ammaliato dalla presenza di alcuni attori dell’Olimpo divistico nazionale del periodo e in particolare della Lotti che compare per prima nei titoli di testa. L’attrice milanese è, questa volta, una moglie abulica e spenta, rinchiusa, quasi per scelta, nel castello in cui anni addietro ha vissuto un tormentato rapporto d’amicizia con Brunello, un ragazzino dodicenne <1240 dal carattere complesso.
[NOTE]
1233 Il libro ottenne un successo eccezionale: fino alla morte dell’autore (1929) venne ristampato ogni anno.
1234 Subentrò ad Alessandro Pavolini che aveva concesso la sua approvazione al film tratto dal testo di Moravia.
1235 Francesco Savio, Intervista ad Alberto Lattuada, in Cinecittà anni trenta, vol. II, cit., p. 670.
1236 Mario Gromo, La freccia nel fianco, «La Nuova Stampa», 4 novembre 1945.
1237 Umberto Barbaro, La freccia nel fianco, «L’Unità», 18 ottobre 1945.
1238 F[abrizio] S[arazani], La freccia nel fianco, «Il Tempo», 17 ottobre 1945.
1239 Nella trasposizione filmica, Luigi conosce Brunello da bambino, perché gli salva la vita afferrandolo prima che un carrello trasportatore lo schiacci sotto lo sguardo sconvolto di Nicoletta. Nel romanzo invece il futuro marito fa la sua comparsa quando Brunello è già un giovane uomo.
1240 Nel romanzo Nicla ha diciotto anni e Brunello otto.
Meris Nicoletto, Percorsi tra tradizione e modernità all’interno dell’universo femminile nel cinema di regime (1929-1943), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Padova, 2013