Eppure la rete dei militari che nella regione a nord di Milano fanno riferimento al Regio Governo del Sud non è poca cosa

Il 10 giugno 1944 un rapporto giudiziario del Comando Provinciale della Gnr di Brescia <82 denuncia i due fratelli Petitpierre, Andrea e Sandro, residenti a Brescia in via XXVIII ottobre n. 18, che sono latitanti. La loro imputazione, che comprende altre persone, si rifà a un episodio che risale al mese di ottobre-novembre del 1943 e comprende l’attentato contro l’unità dello Stato, favoreggiamento bellico, incitamento alla guerra civile, associazione per delinquere.
Avuto sentore che sono controllati dalla Gnr a fine novembre 1943 i due fratelli, si rifugiano in Svizzera. Andrè Petipierre si era dato da fare subito dopo l’otto settembre assieme a Perlasca per recuperare armi e mantenere un filo di collegamento con gli sbandati. Ospita in casa sua Eugenio Curiel che tiene i legami con Milano. Il 29 ottobre si utilizza la sua conoscenza della Svizzera per tentare di cucire dei contatti con gli alleati, rientra il 21 novembre ma il fratello lo attende a Villa di Tirano e lo avvisa che ormai è ricercato. Andrea rientra di nuovo nella confederazione il 1° dicembre e vi resterà fino alla fine delle ostilità. Qui curerà i contatti con gli alleati e con la Delegazione del Regno del Sud a Berna avendo come collegamento a Villa di Tirano Arturo Borserini e Armida Morelli <83.
L’azione dello stato maggiore dell’esercito del Sud
Non ci sono segnali di una presenza attiva d’iniziative organizzate nell’Italia occupata da parte del Regno del Sud sino alla fine di novembre, primi giorni di dicembre 1943. Infatti, risale ai primi giorni di dicembre la definizione dei comandi regionali nella ZO (Zona Operativa) <84 e anche il distintivo che i patrioti dovevano apporre al bavero della giubba (sic!). L’idea che dei combattenti clandestini si aggiustassero un distintivo (doppio nastro trasversale tricolore) in modo che la loro posizione fosse internazionalmente chiara e che le bande fossero gestite da un «comandante militare eventualmente appoggiato, per la parte relativa (sic!) agli elementi civili immessi […] dai comitati locali dei partiti» <85 rende evidente come sia lontano non solo il concetto della guerra per bande, ma anche la conoscenza della situazione. A questa incoscienza situazionale, si affiancano una confusione organizzativa e una mancanza di prospettiva. L’iniziativa del Regno del Sud, e non è solo la non esaltante messa in scena della fuga da Roma, è il comportamento complessivo della casta militare sul campo di battaglia che ha lasciato un segno indelebile negli
uomini che sono rientrati dai vari fronti, si arena in un serie di vorrei ma non posso che rendono ancor più diffidenti i comandi alleati <86. Sono i singoli uomini che prendono in mano la situazione, a un Umberto Utili nel Sud che riesce a farsi accettare dagli Alleati, corrisponde un Jerzy Sas Kulczycki che nel Nord tenta di tirare le fila di una rete dei militari. La situazione è che i militari non riescono a comprendere che si è innescato un movimento che li relega nelle retrovie. Non si tratta solo di riprendere in mano la situazione ante-1923, l’Esercito e il suo ceto ha indissolubilmente legato i propri destini a quelli del fascismo, difficile ora separarli, anche perché i comandanti raramente comprendono il cambio di passo. Questo non vuole assolutamente dire che i militari, che hanno condiviso magari anni di vita in comune, fatiche, anche sogni e sconfitte non costruiscano e organizzino delle bande, è il passo successivo che non riescono a compiere, è il coinvolgimento diretto del Regno del Sud che viene a mancare.
Anche perché per arrivare in Z.O., per far pervenire materiali e risorse occorre appoggiarsi agli alleati i quali a loro volta si trovano in concorrenza tra loro, da una parte l’Oss americano e dall’altra il Soe inglese, a cui si debbono aggiungere le simpatie repubblicane e quelle monarchiche che ci sono in entrambi i campi ma soprattutto la diffidenza nei confronti di un Governo che ha generato lutti e sofferenze. Insomma ha dell’ingenuo pensare di riuscire ad accreditarsi come combattenti antifascisti quando fino il giorno prima si era alleati con i tedeschi; la disastrosa gestione poi dell’armistizio non ha certo contribuito a far aumentare l’attendibilità dei realisti di casa Savoia.
E scarsa, se non nulla, è l’attendibilità che hanno i generali che supinamente hanno trascinato nel disastro gli italiani; il ceto militare è legato a casa Savoia e conseguentemente il Governo del Sud fatica a essere preso in considerazione dagli Alleati. Ne è un espressivo esempio la sconfitta del progetto del gen. Giuseppe Pavone <87 relativo ai Gruppi Combattenti Italia e le difficoltà che incontra il gen. Umberto Utili nel costruire gruppi di combattimento che si affianchino all’esercito degli alleati che sale verso il nord. Ha molto più buon gioco Edgardo Sogno che, dopo aver attraversato il fronte verso il sud, progetta il suo ritorno al nord come collaboratore del Soe. È lui che diventa il raccordo con le bande badogliane, è presente nel Cln di Torino come rappresentante del Pli, in altre parole è la sua organizzazione, la Franchi, che è portatrice di un progetto politico ben più radicato nel quotidiano che quello propugnato dallo Stato Maggiore dell’Esercito del Sud.
La rete dei militari legati a casa Savoia.
La ripresa dell’organizzazione in alta Valtellina nella primavera del 1944 non trova più sul terreno una struttura che aveva, se non stimolato speranze, suscitato interessamento da parte dei militari valtellinesi: la struttura dei Volontari armati italiani, Vai. Quest’organizzazione non è più presente dall’aprile del 1944 in concomitanza con la cattura di parecchi suoi uomini compreso il comandante, Jerzy Sas Kulczycki, che è catturato a Genova il 15 aprile. La scomparsa del Vai rende evidente la difficoltà del Regno del Sud nel costituire le strutture armate di resistenza nella Zona Occupata.
I militari dell’ex regio esercito non si sono trovati a lavorare in un ambiente adatto: lo sfacelo dell’8 settembre, la vigliaccheria o, nel migliore dei casi, la pusillanimità dei comandanti ha fatto il paio con i morti provocati dal governo Badoglio durante i 45 giorni. La mancanza d’idee, il banale adesso cosa facciamo, la ritrosia ad armare i civili ha messo tutto il peso dell’organizzazione sulle spalle di pochi militari animati da spirito di sacrificio e disposti al combattimento; la cattura di questi militari taglia le gambe ad una organizzazione che aveva i piedi di argilla e lascia aperta la strada a forme di combattimento che troveranno la loro dimensione sia nelle bande autonome, i fazzoletti azzurri e verdi, che nelle bande garibaldine o di Giustizia e Libertà.
Dell’incapacità dei militari nel muoversi, in Lombardia, sul terreno delle organizzazioni armate di montagna è sintomo il fatto che sia nel bresciano, sia nella bergamasca, è il clero che fornisce o direttamente, il comandante, Don Antonio Milesi, o la direzione politica, don Carlo Comensoli; è illuminante invece l’indecisione, per non dire di peggio, del Comandante dei Carabinieri di Sondrio Alessi.
Eppure la rete dei militari che nella regione a nord di Milano fanno riferimento al Regio Governo del Sud <88 non è poca cosa: a Lecco troviamo i colonnelli Umberto Morandi e Alberto Prampolini affiancati dal capitano Guido Brugger; a Mandello del Lario c’è il colonnello Galdino Pini mentre a Bellano il referente è Umberto Osio; salendo nella Valsassina Mario Cerati e il dott. Pietro Magni: nella zona della valle Taleggio Piero Pallini cerca di tessere una rete di collegamenti in contatto con il gruppo di Carlo Basile mentre un altro militare, Davide Paganoni di Lenna assume una posizione più distaccata. Nella stessa zona si muove uno strano prete-combattente che abbiamo già incontrato, don Antonio Milesi, che a fine guerra esibirà il suo legame con il SOE, nella zona della Valcamonica i vari militari che daranno poi vita alle Fiamme Verdi e che avranno nel generale Luigi Masini il loro referente <89.
La fine del progetto del Vai
I militari trovano il loro terreno, quello delle armi, conteso da forme organizzative che, o disprezzano come le bande infestate dal comunismo o che fanno fatica a comprendere, i civili armati. Forse frastornati dall’apparire di questi nuovi soggetti, le ombre che raccolgono le armi che i militari abbandonano, coscienti di un loro ruolo e legati a un giuramento che sembra restare l’unica cosa certa, questi uomini che fanno parte della rete dei militari in Spe che non aderiscono alla Rsi spesso vanno incontro a un tragico destino. Ne è un esempio il generale di brigata Giuseppe Robolotti, nato a Cremona il 27 dicembre 1885. Comandante della Zona militare di Trieste nell’aprile del 1943, dopo l’armistizio ha tentato di opporre resistenza alle truppe tedesche. Sfuggito alla cattura e riparato a Milano, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia affidò a “De Micheli” (questo il nome di copertura del generale), il comando militare della Piazza nel capoluogo lombardo. “De Micheli” assolse l’incarico dal 1° ottobre 1943 al 25 maggio 1944, quando fu arrestato a Milano col generale Zambon e altri resistenti, nell’ambito della cosiddetta “operazione dei generali”. Robolotti fu incarcerato a San Vittore sino al mese di giugno, quando i tedeschi decisero di tradurlo nel campo di concentramento di Fossoli. All’alba del 12 luglio i nazisti lo fucilarono nel Poligono di tiro nella frazione Cibeno di Fossoli con altri 66 patrioti <90.
La condizione di debolezza nella costruzione di una Resistenza monarchica non vuole però significare che i militari, e comunque casa Savoia e il Regno del Sud, non siano in grado di recuperare il terreno e presentarsi, all’appuntamento del 25 aprile 1945 con molte cartucce nelle giberne <91. Diversa è la storia delle migliaia di militari che salgono sui monti dal Piemonte al Friuli attraversando gli Appennini e, stante una dura revisione del proprio ruolo combatteranno nelle bande partigiane. Di questa evanescente organizzazione, il Vai, si conosce poco: a Milano si ripresenta nelle vesti di Maria Bottoni, che catturata dallo SD viene incarcerata a San Vittore il 15.03.1944 (mat. 1678). Era la segretaria di Ferruccio Parri nella ditta Edison e, secondo quanto afferma Antonio Colognese, aveva documenti che si riferiscono alla rete del Vai <92.
Tra la fine dell’aprile e il maggio 1944 si può con certezza affermare che un buon numero degli uomini del Vai si ritrova nel campo di Fossoli, compreso il comandante Jerzy Sas Kulczycki, il responsabile politico della Liguria Filippo Gramatica, il suo sostituto Renato Piccinino e Giuseppe Palmero un membro della Giovane Italia [n.d.r.: di Ventimiglia (IM), al confine con la Francia]<93.
Un’operazione di polizia ha portato all’arresto di diciannove persone a Milano, tra le quali gli uomini ai vertici dell’organizzazione resistenziali, come il generale Dino Bortolo Zambon, che è comandante militare nel Cln di Milano.
Sono incarcerati a San Vittore il 25 maggio 1944: Caserini Bassi Enrica mat. 2175, Beltracchini Alessandro mat. 2176, Robolotti Giuseppe mat. 2177, Marini Gino mat. 2178, Zambon Bortolo mat. 2179, Benedetto Mario mat. 2180, Bevali Ida mat. 2181, Carletti Agata mat. 2182, Maggiori Primo mat. 2183, Nulli Ettore mat. 2184, Nulli Decio mat. 2185, Granelli Carlo mat. 2186, Della Negri Baggini Margherita mat. 2187, Robolotti Dal Col Elvira mat. 2188, Robolotti Giovanni mat. 2189, Castelli Vittorio mat. 2190, Borgonovo Scurati Agnese mat. 2191, Bellini Leonida mat. 2192, Gasparini Vittorio mat. 2193.
Manzi Antonio entra il 20.04.1944 a san Vittore mat. 1954, era stato preceduto dalla ligure Annamaria Martini il 16.04.1944 mat. 1937. Manzi è catturato a Lenna in Val Brembana, Martini in Liguria, altri lo sono a Torino. Lo sguardo sugli effetti della repressione che abbraccia l’intero nord dell’Italia occupata c’è utile per comprendere l’estensione della reta e la caparbietà con cui i fascisti e i tedeschi perseguono la repressione. Tutti i militari sono membri del Vai? Crediamo proprio di no, perché essere militare in un paese in guerra diventa un elemento normale per gli uomini dai 18 ai 40 anni ed è anche ovvio che conseguentemente all’armistizio dell’otto settembre ci sia stato il tentativo di organizzare i militari fuori da una rete informativa. Sono altrettanto naturali le sovrapposizioni tra le organizzazioni: membri del Vai e nello stesso tempo legami con i Cln o con reti d’informazioni come il gruppo Otto, l’Ori <94 e anche il Sim. Chiarisce quanto si vuole qui affermare il percorso di Aminta Migliari, Giorgio (1920-1991), promotore e comandante del Servizio informazioni patrioti (Sip), costituito nella primavera del 1944. Inizialmente
la rete informativa è costruita localmente per il gruppo partigiano (autonomo) di Alfredo Di Dio dopo il 13 febbraio 1944. Nel marzo 1945 diventa Servizio informazioni militari Nord Italia (Simni), che vede ampliata la rete di agenti e informatori dalla zona novarese, originaria, a quasi tutte le regioni dell’Italia settentrionale. Migliari è stato altresì commissario di guerra del raggruppamento divisioni Alfredo Di Dio, in stretti rapporti con la missione dell’Oss Chrysler, paracadutata nella zona del Mottarone nel settembre 1944, e in stretti rapporti con la Democrazia Cristiana.
Gerarchie militari in azione
Se in alta Valtellina Giuseppe Motta organizza i gruppi attorno alle centrali dell’Aem, non è da escludere il tentativo di organizzare una rete attorno a Sondrio che funga da collettore per i gruppi della bassa e media Valtellina. Riuscire a costruire un gruppo nella media valle è un’ipotesi più che ragionevole anche perché in bassa valle hanno cominciato a muoversi i garibaldini, Motta è abbarbicato in alta valle e la zona del sondriese è sguarnita.
[NOTE]
82 Isrec BG, La Resistenza bresciana. Rassegna di studi e documenti, n.1, Istituto Storico della Resistenza bresciana, pp. 47-58.
83 Alcuni articoli di André Petitpierre con la firma Pietra Piccola sul settimanale Brescia Lunedì dal 20.10.1946 al 23.09.1946. Con la firma di cap. Michele Rovetta scrive su Il Ribelle numero unico del 25.04.1946, citati in La Resistenza bresciana. Rassegna di studi e documenti, n.1, Istituto Storico della Resistenza bresciana, p. 58. Alla rete ufficiale del Clnai per i contatti con le sedi dell’Oss e del Soe in Svizzera si affianca una moltitudine di collegamenti; a quella dei fratelli Petitpierre si affianca una rete costruita da Aldo Gamba, ten. K del Sim, di cui si può leggere la storia di quel periodo in: A. GAMBA, Documenti sulla resistenza italiana: i notiziari segreti dell’Ufficio informazioni dello Stato maggiore dell’Esercito della Repubblica sociale italiana, Brescia, 1961; anticipazioni in D. MORELLI, La montagna non dorme, cit., p. 64.
84 MINISTERO DELLA DIFESA, STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, UFFICIO STORICO, L’azione dello Stato Maggiore Generale per lo sviluppo del movimento di liberazione, cit., p. 15.
85 «Le direttive per l’organizzazione e la condotta della guerriglia Stato Maggiore Generale per lo sviluppo del movimento di liberazione, cit., p. 15. (Riservate alla persona dei Comandanti militari regionali e dei loro più immediati collaboratori).» sono in data 10 dicembre 1943: Ivi, p. 149-154.
86 Sull’evoluzione dei contatti con gli alleati si rimanda a: T. PIFFER, Gli alleati e la Resistenza italiana, cit.
87 Cfr. A. ALOSCO, Il Partito d’Azione nel ‘Regno del Sud’, Alfredo Guida, Napoli, 2002, pp. 61-63.
88 Una sintesi della presenza delle formazioni militari che fanno riferimento al Regno del Sud la si trova in C. CERNIGOI, ALLA RICERCA DI NEMO, una spystory non solo italiana, dossier n. 46, Supplemento al n. 303 – 1/5/13 de La Nuova Alabarda e la Coda del Diavolo”, Trieste 2013. Per una analisi più articolata, Cfr. G. PERONA (a cura di), Formazioni autonome nella Resistenza, documenti, cit., p. 19-31.
89 Fondo: Morelli Dario, Serie: Forze partigiane e di liberazione, Sottoserie: Cvl – Fiamme verdi, Fascicolo: Cvl – Quartier generale del raggruppamento Fiamme verdi, Busta 31, Fasc. 276.
90 Il 12 luglio del 1944 al poligono del Cibeno presso Carpi vengono fucilati 67 prigionieri del vicino campo di Fossoli e tra di essi il col. del Savoia Cavalleria Luigi Ferrighi. Cfr. A. L. CARLOTTI (a cura di) L. MELA, P. CRESPI, Dosvidania, Savoia cavalleria dal fronte russo alla Resistenza: due diari inediti, Vita e pensiero, Milano, 1995; vedi anche: Insmli, fondo Ostéria Luca, Busta 1, Fasc. 8, fasc. “Zambon e C[company]. Gnr di Brescia. 25 – 5 – 1954 [recte 1945]”.
91 Nella vicina Como, è il Ten. Col. Giovanni Sardagna ad essere ritenuto legato al Vai. Uomo di fiducia del gen. Cadorna che ricopre la carica di ispettore generale nel Comitato militare del CLN comasco e che diventa il referente militare nei giorni insurrezionali.
92 A. COLOGNESE, Venti mesi di lotta partigiana, Stab. grafico P. Castaldi, Feltre, 1947, p. 52. Cfr. P. PAOLETTI, Volontari armati italiani (V.A.I) in Liguria (1943-1945), cit., p. 62.
93 Ivi.
94 La Otto prende il nome da Ottorino Balduzzi primario di neuropsichiatria dell’ospedale S. Martino di Genova, comunista. Cfr. Relazione sull’attività dell’Organizzazione Otto, Insmli, fondo CVL, b. 42, fasc. 4, sottofasc. 5; R. CRAVERI, La campagna d’Italia e i servizi segreti: la storia dell’ORI (1943-1945), Genova, 2009.
Massimo Fumagalli e Gabriele Fontana, Formazioni Patriottiche e Milizie di fabbrica in Alta Valtellina. 1943-1945, Associazione Culturale Banlieu