Comunque il ’68, nel suo spot chiassoso e colorato, si è manifestato come evento radioso

Il maggio ’68 è stato un passo più lungo della gamba, poi si sarebbe andati indietro, era ben difficile il proseguire in equilibrio, senza cadere (come per Legnano, per Little Big Horn, o per il P.C.I. nel ’76: è arduo gestire bene una vittoria inaspettata – anche se inaspettata solo per il nemico. Usare bene una vittoria è più difficile che ottenere una vittoria). Era arduo progredire, senza ripetersi (e gli studenti, da allora, sino alla Pantera, non hanno fatto altro che cercare di rifare quel ’68 che avevano mancato, e così in Italia le occupazioni delle scuole inconsapevolmente rifanno lo stile del ’68 – clonazioni sempre più esangui, fotocopie sempre più sbiadite – un po’ alla stessa maniera con cui certi registi ricadono come inconsapevoli nel viscontismo…).
In realtà il ’68 – quello che molti intendono quando pronunciano il fatidico numero, cioè il fenomeno culturale – è un periodo cominciato nel ’66-’67: i film cinesi di Jean-Luc Godard, la pubblicazione del Trattato ad uso delle giovani generazioni di Raoul Vaneigem e de La società dello spettacolo di Guy Debord, le agitazioni all’Università. Anzi, potremmo dire che inizia con gli anni ’60 o persino già sul finire dei ’50. In quel momento, per restare in Italia, arriva un certo benessere e quindi tecnologia, consumi, voglia di divertirsi, la ribellione dei giovani al formalismo, le contestazioni dei valori ottocenteschi, Lorenzo Milani, l’arte beffarda di Piero Manzoni, le neo-avanguardie, le riviste erotiche come “Kent” e “Abc”, l’arte ludica di Baj e Rotella. E nel resto del mondo c’è anche il pacifismo, la libertà sessuale, i Rolling Stones e magari anche i Beatles, va’, la minigonna di Mary Quant, il movimento hippy, il Living Theatre, l’antipsichiatria di David Cooper e di Ronald Laing, il gruppo Archigram, il New American Cinema. Che poi, andando ancora indietro nel tempo, finisce che tiriamo fuori Danilo Dolci e Fosco Maraini e Bertrand Russell e Cecco Angiolieri ed Asclepiade, e così ci fermiamo qui. Il ’68, per metterla giù proprio dura, fu l’esplosione, l’ostentazione in pubblico, lo spot pubblicitario di cose che erano, insomma, già un po’ vecchiotte. E allora ha ben ragione Alfredo Moreschi che con una delle sue perfide battute così pone la lapide: “Il ’68 era già finito nel ’67” (aforisma che fa il paio con quell’altro suo, che può parer qui fuori tema e invece no, che recita: “Si sono fatti troppi film, occorre sfilmare la realtà”).
Comunque il ’68, nel suo spot chiassoso e colorato, si è manifestato come evento radioso. Con le sue invenzioni – magari anche quelle recuperate dal passato ma riverniciate di fresco – come gli slogan ritmati, i cortei, le scritte a spray, le assemblee. Poi riciclate “dal sistema” e trasformate in pubblicità, processioni politiche rituali, finti dibattiti televisivi – quelle recite imbarazzanti, quelle risse verbali su cose fatue nelle quali ci si parla e sparla addosso seguendo sceneggiature costruite mediante il montaggio di luoghi comuni.
La rivolta di maggio durò quel mese, o poco più. Il periodo ’68-’77 fu invece ricco subito di elementi reazionari: tendenze al sacrificio, misticismi, controllo mediante confessioni e gerarchie (quanto vi fu di iper conservatorismo dovuto alle proprie origini cattoliche?), appena corretti, verso la fine, dall’ironia degli Indiani Metropolitani, dei gruppi bolognesi, delle gioiose bande graffitare e neo-dadaisteggianti (“Abbiamo sbagliato, sbagliato di brutto / ma pagheremo caro e pagheremo tutto”).
I sessantottini e poi i ragazzi degli anni ’70 non volevano davvero fare la rivoluzione: facevano finta, e in tanti casi hanno agito così per salvaguardare loro privilegi e mantenere certi rituali piccolo borghesi. Non meraviglia che da quei movimenti non sia nata una nuova arte né si siano mosse riforme politiche. Ma una voglia di novità ha attraversato quegli anni: il desiderio di mettere tutto in discussione, di non accettare verità imposte, di rompere le regole. Oggi, quando nuovi e vecchi bigottismi e ossessioni normative spuntano qua e là, non possiamo dimenticare che la lotta per l’affermazione delle nuove soggettività, delle nuove identità – i giovani, le donne, i bambini, gli animali, e lo diciamo così, seriamente, col rischio di parere che si parli in politichese – parte anche da lì.
Marco Innocenti, 37. Il 68 fra il 67 e il 69, da Flugblätter ♯1. 49 pezzi facili, editore lepómene, Sanremo novembre 2007

Altri lavori di Marco Innocenti: articoli in “Il Regesto”, Bollettino bibliografico dell’Accademia della Pigna – Piccola Biblioteca di Piazza del Capitolo, Sanremo (IM); articoli in Mellophonium; (a cura di) Marco Innocenti, Presenzio Astante, Tre fotografie, lepómene editore, 2024; Silvana Maccario, Margini (Introduzione di) Marco Innocenti, Quaderno del circolo lepómene stampato a Sanremo, gennaio 2023; Lorem ipsum, lepómene editore, 2022; (a cura di) Marco Innocenti, Il magistero di Cesare Trucco – per il centenario della nascita 1922-2022, Lo Studiolo, Sanremo, 2022; Scritti danteschi. Due o tre parole su Dante Alighieri, Lo Studiolo, 2021; I signori professori, lepómene editore, 2021; (a cura di) Alfredo Moreschi, Marco Innocenti, Quaderno del circolo lepómene stampato a Sanremo, aprile 2021; Verdi prati erbosi, lepómene editore, 2021; Libro degli Haikai inadeguati, lepómene editore, 2020; Elogio del Sgt. Tibbs, Edizioni del Rondolino, 2020; Flugblätter #3. 54 pezzi dispersi e dispersivi, Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2019; Sandro Bajini, Fumata bianca dopo penosi conciliaboli (con prefazione di Marco Innocenti), Lo Studiolo, 2018; articoli in Sanremo e l’Europa. L’immagine della città tra Otto e Novecento. Catalogo della mostra (Sanremo, 19 luglio-9 settembre 2018), Scalpendi, 2018; Flugblätter (#2. 39 pezzi più o meno d’occasione), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2018; Sandro Bajini, Andare alla ventura (con prefazione di Marco Innocenti e con una nota di Maurizio Meschia), Lo Studiolo, Sanremo, 2017; La lotta di classe nei comic books, i quaderni del pesce luna, 2017; Sanguineti didatta e conversatore, Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2016; Pubblicità, lepómene editore, 2015; Sandro Bajini, Libera Uscita epigrammi e altro (postfazione di Fabio Barricalla, con supervisione editoriale di Marco Innocenti e progetto grafico di Freddy Colt), Lo Studiolo, Sanremo, marzo 2015; Enzo Maiolino, Non sono un pittore che urla. Conversazioni con Marco Innocenti, philobiblon, Ventimiglia, 2014; articolo in I raccomandati/Los recomendados/Les récommendés/Highly recommended N. 10 – 11/2013; Sandro Bajini, Del modo di trascorrere le ore. Intervista a cura di Marco Innocenti, Ventimiglia, philobiblon, 2012; Sull’arte retorica di Silvio Berlusconi (con uno scritto di Sandro Bajini), Editore Casabianca, Sanremo (IM), 2010; Pensierini, Lepomene, Sanremo, 2010; Sgié me suvièn, Lepomene, Sanremo, 2010; Prosopografie, lepómene editore, 2009; C’è un libro su Marcel Duchamp, lepómene editore, Sanremo 2008; (a cura di) Alfredo Moreschi in collaborazione con Marco Innocenti e Loretta Marchi, Catalogo della mostra fotografica. 1905-2005: Centenario del Casinò Municipale di Sanremo. Una storia per immagini, De Ferrari, Genova, 2007; con Loretta Marchi e Stefano Verdino, Marinaresca la mia favola. Renzo Laurano e Sanremo dagli anni Venti al Club Tenco. Saggi, documenti, immagini, De Ferrari, 2006
Adriano Maini