Casablanca, estate del 1942, si srotola un’altra storia, questa volta reale e con un finale tragico

Humphrey Bogart e Ingrid Bergman girano nel 1942 Casablanca, film fra i più celebri della cinematografia mondiale, vincitore di tre Oscar nel 1944. Ancora oggi alcune delle battute e modi di dire del film sono patrimonio comune di milioni di spettatori in ogni parte del mondo.
[…] Casablanca, estate del 1942, si srotola un’altra storia, questa volta reale e con un finale tragico.
Ne è protagonista sempre un combattente antifascista della guerra civile spagnola, emigrato per sfuggire alla repressione del regime mussoliniano: il giovane muratore Paolo Antonini, nato a Civitavecchia il 30 aprile 1909 (altre fonti indicano il 1905 anno di nascita). Celibe, di professione muratore, schedato nel Casellario Politico Centrale CPC come comunista ma più verosimilmente il suo colore è quello anarchico come suo padre Rinaldo, anche lui schedato.
Durante il servizio militare, nel 1929, è condannato a tre anni di reclusione per disobbedienza e insubordinazione. Nel 1935 è arrestato per scritte antifasciste e detenuto per sette mesi. Proposto per il confino riesce nel 1936 ad espatriare clandestinamente, rifugiandosi a Madrid. Espulso in Francia rientra in Catalogna allo scoppio della guerra civile spagnola e si arruola nella Milizia repubblicana, arrivando a ricoprire il grado di tenente, combattendo sul fronte di Teuren. Durante questo periodo giungono in Italia alcune voci che segnalano la sua fucilazione da parte dei nazionalisti di Franco. Invece nel maggio 1939, dopo la caduta della Repubblica, si rifugia nell’Algeria francese dov’è internato. Cerca, senza successo, di partire per il Messico ma nel 1942 è catturato dai collaborazionisti francesi del regime di Vichy. La sua morte avvenuta il 12 luglio 1942 è avvolta nel mistero: alcune fonti riferiscono che sia stato fucilato nel campo di Colomb-Bechar, campo di concentramento francese nel Sahara. La polizia fascista parla genericamente di un decesso nella prigione marittima di Casablanca. Per la sua vita e lotta coraggiosa contro il fascismo in ogni angolo del Mondo, Civitavecchia gli ha dedicato una via.
Questo quanto ho scritto nel mio recente volume Appunti di vita sovversiva (2019) utilizzando la sua scheda personale custodita all’interno del Casellario Politico Centrale, redatta dal 1936 al 1943.
Pochi giorni fa mi scrive Marco Rossi, amico e storico dell’arditismo popolare e del sovversivismo, che mi gira una e-mail di Tomaso Marabini, attento curatore dell’Archivio Storico Popolare di Medicina dove sono custodite numerose pubblicazioni del movimento anarchico e altro ancora.
Allegato alla e-mail un articolo pubblicato nel 1942 su un giornale anarchico L’Adunata dei Refrattari, pubblicato negli Stati Uniti, a New York, in lingua italiana dal 1922 al 1971. Nella Grande Mela sono tanti gli anarchici italiani rifugiatisi qui per scappare alla repressione fascista. Vi è anche un discreto numero di sovversivi civitavecchiesi, che annoverano fra loro anche un confidente dell’Ovra.
Il giornale porta la data del 7 novembre 1942, il giorno dopo gli americani sbarcano in Marocco.
L’articolo firmato P.T. dovrebbe essere stato scritto da Pio Turroni, attivista anarchico originario di Cesena, che nel dicembre del 1941, partendo proprio da Casablanca, ha raggiunto il Messico.
Lo scritto ci fornisce la testimonianza diretta di quale fu la fine del giovane muratore anarchico.
È intitolato PAOLO ANTONINI ASSASSINATO e narra le sue vicende in Spagna durante la guerra civile e quanto subì in Africa da parte della polizia di Petain fino alla morte il 20 luglio 1942:
Una lettera scritta da Casablanca il 20 settembre ultimo da un nostro e vecchio provato compagno, arrivataci per via aerea normale, ci annuncia “la morte violenta del compagno Antonini, assassinato e l’arresto di P. ed altri”. Questa notizia secca e dolorosa per noi, non è accompagnata da nessuna spiegazione o schiarimento sul fatto. Però la prudenza notoria dello scrivente e il laconismo brutale dello scritto sono assai comprensibili. “La morte violenta del compagno Antonini, assassinato e l’arresto di P. ed altri” sono due fatti troppo legati insieme, sicuramente con intenzione di far comprendere la verità, da quello che scrive, perché noi non si pensi che il delitto che ci priva del nostro compagno sia uno dei tanti commessi dalla polizia della Francia di Petain che, non è più da provare, uguaglia quella mussolinista e hitlerista nella ferocità repressiva.
Coll’assassinio di Paolo Antonini si allunga la catena del martirologio Anarchico con un giovane, aveva poco più di trent’anni, pieno d’audacia e d’azione, fattosi e tempratosi nella lotta, in piena bufera fascista, uno dei migliori.
Nacque a Civitavecchia da genitori romagnoli. Sino al 1934 dette filo da torcere al fascismo e per la sua azione politica fece diversi soggiorni nelle patrie galere. In quell’anno, malgrado la sorveglianza speciale alla quale era stato condannato, riuscì ad imbarcarsi ed a raggiungere la Spagna. Nel 1935 partecipò in maniera attiva al movimentato sciopero dei muratori, esercitava quel mestiere, in Madrid. Nel 1936, allo scoppiare del movimento franchista fu sempre fra i primi e partecipò all’epica battaglia della caserma “Montana”, che liberò Madrid dai traditori. Coi muratori della 14a Divisione, diretta da Cipriano Mera prese parte alla battaglia di Guadalajara che disonorò per sempre agli occhi del mondo l’esercito fascista, rimanendovi ferito gravemente. Era appena guarito che ritornò al suo posto di lotta perché la sua concezione dell’anarchismo, intransigente e pura, faceva si che con i compagni spagnoli si trovasse d’accordo solo sul terreno dell’azione, condannando risolutamente gli errori e l’opportunismo dei dirigenti delle organizzazioni libertarie.
Alla caduta del fronte del Centro riuscì, con un colpo di audacia fortunata, a passare nell’Africa del Nord. Le autorità francesi lo inviarono subito al campo di concentrazione di Boghari nel Sud Algerino ma l’uomo d’azione che era non si accomodava a vivere in mezzo al ferro spinato e dopo pochi mesi evase. Riarrestato a Orano, fu portato al campo disciplinare di Colomb-Bechar nel Sahara, però al principio del 1941 lo vedemmo arrivare, coi piedi gonfi e sanguinanti a Casablanca. Questa sua evasione fu qualche cosa di straordinario perché per arrivare sino a noi aveva fatto oltre due mila chilometri, quasi tutti a piedi, per le interminabili piste del deserto e travestito da soldato della legione straniera.
Paolo Antonini può realmente servire d’esempio a tutti noi nell’arduo cammino che ci resta da percorrere per arrivare al mondo degli Uguali. Sarà il mezzo migliore per onorare anarchicamente e degnamente il suo sacrificio e la sua memoria.
Gloria a Te, Paolo Antonini.
Mexico, D.F., il 16-10-42

La prima parte dell’articolo illustra gli episodi salienti che vedono Paolo Antonini agire durante la resistenza antifranchista, particolari che non conoscevamo nel dettaglio.
Lo sciopero degli edili iniziato nel 1935 vede la spaccatura fra i due principali sindacati del paese: la Union General de Trabajadores UGT d’ispirazione socialista e la Confederation Nazional del Trabajo CNT più orientata verso ideali libertari. Questa più intransigente prosegue nello sciopero che si conclude solo allo scoppio della guerra civile.
La Caserma “Montana” si ribella al governo repubblicano il 19 luglio 1936. I militari e i falangisti quel giorno vogliono uscire dalla caserma per un’azione dimostrativa nelle vie madrilene ma una folla armata di operai e sindacalisti di entrambe le sigle sindacali riescono a ricacciarli indietro. Inizia un assedio che dura tutta la notte. In quelle ore i partiti di sinistra assumono il controllo della capitale. Nelle prime ore del 20 luglio la caserma è espugnata e moltissimi militari e quasi tutti gli ufficiali trovati al suo interno sono massacrati. La famosa Battaglia di Guadalajara vede la sconfitta dei “volontari” fascisti italiani e di reparti franchisti da parte dell’esercito repubblicano, di cui fa parte il Battaglione Garibaldi formato da volontari italiani antifascisti. Per la prima volta gli italiani si scontrano sui due fronti opposti. Cipriano Mera Sanz era un muratore analfabeta, presidente del sindacato edili della CNT di Madrid, organizzatore dello sciopero del 1935, grazie al suo valore in pochi mesi diventa uno dei migliori generali delle milizie anarchiche e poi dell’esercito popolare, l’unico anarchico a ricoprire questo ruolo. Prende parte alla difesa di Madrid, alle battaglie di Brunete e Guadalajara. Morirà in esilio, in Francia, ritornando a lavorare come muratore, come aveva affermato negli anni bellici: “Quando la guerra sarà finita il luogotenente colonnello Mera abbandonerà le armi e riprenderà la cazzuola”.
Sulle circostanze della sua morte ci sono notizie contrastanti: nel profilo biografico pubblicato su www.antifascistispagna.it leggiamo due ipotesi. La prima lo vuole morto il 25 febbraio 1938 in un ospedale di Madrid; la seconda morto in carcere a Casablanca il 12 luglio 1942, come registra l’Ovra nel suo fascicolo del CPC. Un’altra fonte lo vede condannato e fucilato direttamente nel campo di prigionia di Colomb-Bechar. Utile qui ricordare che i campi di concentramento francesi dove sono detenuti i prigionieri italiani, civili o militari, sono giudicati fra i più duri della Seconda guerra mondiale in campo alleato, con il più alto rapporto di morti fra i prigionieri, segnalati per le pessime condizioni igieniche, sanitarie e alimentari a cui sono sottoposti i nostri connazionali sia dai militari fedeli al regime di Vichy, sia in quelli presidiati dai gollisti. Le guardie addette ai campi sono truppe di colore sotto il comando di ufficiali bianchi che li incoraggiano ad essere brutali con i prigionieri italiani per vendicare così la “pugnalata alle spalle” inferta da Mussolini nel 1940.
Riprendiamo la lettura dell’Adunata, la parte più drammatica, quella che narra il suo assassinio:
Il compagno J. Calleja che arrivò ad imbarcarsi clandestinamente sul “Nyassa” il 21 settembre scorso a Casablanca e che si trova attualmente in mezzo a noi, ci ha confermato quello che noi si sospettava sull’assassinio del nostro Paolo Antonini.
Calleja, Antonini ed altri 19 compagni spagnoli furono arrestati il 2 luglio passato a Casablanca dall’autorità militare francese e portati a quella prigione militare sotto l’ormai abituale accusa di “attentat a la sureté de l’état Francais”.
Furono torturati e bastonati a sangue durante venti lunghissimi giorni da un gruppo di aguzzini che volevano obbligare colla forza che i nostri amici a confessare di essere a contatto e di fare della propaganda per l’Inghilterra e De Gaulle. La mattina del 20 luglio verso le 11 il compagno Calleja intese vari spari di arma da fuoco. Qualche istante dopo una guardia-ciurma lo avvertì che era stato ucciso Antonini mentre tentava fuggire. Cosa che Calleja esclude in modo assoluto perché a quell’ora tutti i detenuti erano rinchiusi in cella, da cui non è possibile fare alcun tentativo di quel genere.
Paolo Antonini è stato, dunque, assassinato dai sicari di Petain e del fascismo europeo che gli hanno applicata la tragica “Leiy de fuga”: Martinez Anido fa scuola!
Non lo dimentichiamo!
Mexico, D.F., il 21-10-42. P.T.

Il Calleja che conferma la morte di Antonini dovrebbe essere Liberto Callejas, pseudonimo di Joan Perellò i Sintes, anarchico spagnolo, dirigente della CNT, morto in esilio in Messico nel 1969.,
Severiano Martinez Anido, generale spagnolo, governatore di Barcellona, negli anni Venti, represse duramente le proteste dei sindacati, specialmente la CNT, e del movimento anarchico. Brutale e utilizzatore di metodi violenti, è ricordato come il promotore della cosiddetta “Legge della fuga” che autorizzava la polizia ad uccidere gli arrestati per motivi politici mentre “tentavano” la fuga. Ministro dell’Ordine Pubblico con Franco, strinse stretti rapporti con la Gestapo e le SS hitleriane, che diedero il loro contributo a formare la polizia politica franchista. Muore nel 1938.
Questa la tragica cronaca della morte a Casablanca di Paolo Antonini, muratore anarchico, nato a Civitavecchia, combattente in Spagna, protagonista dell’antifascismo europeo e mondiale.
Non lo dimentichiamo!
Enrico Ciancarini, Casablanca 1942 – Morte di un anarchico civitavecchiese, SpazioLiberoBlog, 23 ottobre 2020

Il est encore difficile de reconstituer la trame clandestine du réseau de « Résistance » formé de libertaires français et italiens ayant opéré à Oran et à Casablanca. La correspondance de Pio Turroni nous donne l’occasion d’en savoir plus sur la composition du groupe italien: Dino Angeli, le Romagnol, Celso Persici et Checchi, les Bolognais, Piagnoli, originaire de Parme, Petrolio, le Piémontais et Antonini de Civitavecchia <1236.
1236 D’après Pio Turroni, Antonini fut interné à Bou Arfa d’où il s’évada puis fut incarcéré à la prison de Casablanca dans laquelle on l’assassina.
Françoise Fontanelli Morel, Pio Turroni e il movimento anarchico italiano in esilio in Francia tra le due guerre. Dall’impegno individuale alla mobilitazione collettiva, Tesi di Dottorato, Università degli Studi della Tuscia – Viterbo, in co-tutela di tesi con Université de Provence di Aix-en-Provence, 2016

Bene ha fatto Enrico Ciancarini a richiamare la figura di Paolo Antonini e a pubblicare l’articolo dell’Adunata dei Refrattari del 1942, che fornisce notizie emozionanti sulla sua morte e, soprattutto, sul suo ruolo nel mondo del fuoriuscitismo anarchico e antifascista, in particolare quello impegnato nella guerra civile spagnola.
Sono da tempo convinto che, anche a causa della scarsità delle notizie fino ad oggi disponibili, è stata dedicata a Antonini minor attenzione di quanta ne meriti.
Per questo colgo l’occasione per integrarlo con qualche altra notizia.
Dopo l’articolo di Pio Turroni, sul n.7 del 13 febbraio 1943 l’Adunata dei Refrattari pubblica una lettera inviata da Città del Messico da parte di alcuni lettori che si firmano “Gruppo Paolo Antonini”.
“Il Gruppo “Paolo Antonini”, che è formato da compagni recentemente sfuggiti al fascismo europeo e al darlanismo africano, plaude alla coerente e anarchica posizione dell’“Adunata” verso la guerra e condanna le ambizioni personali di tutti i “mummificati” presenti e a venire, e il loro stolto tentativo contro chi la redige e ne ha fatto una tribuna che può servire da esempio, non solo ai libertari italiani, ma a quelli di tutto il mondo.”
Queste poche righe ci dicono varie cose.
A Paolo Antonini, a riconoscimento della sua lotta politica e del suo sacrificio, viene intestato il gruppo degli anarchici esiliati in Messico, molto attivi nella polemica politica.
Paolo Antonini non è quindi un personaggio secondario. Pur non essendo certamente l’unica vittima anarchica della repressione fascista, a suo nome viene costituito un gruppo.
Non dimentichiamo che corrispondente da Città del Messico per l’Adunata è esattamente Pio Turroni, autore degli articoli citati integralmente nel testo di Ciancarini.
Proprio la figura di Pio Turroni, muratore anarchico di Cesena, può dirci molto su Paolo.
Non è certo qui il caso di riprendere la sua lunga e complessa esperienza di militante anarchico.
Basta ricordare che, esiliato in Francia, è tra i primi ad accorrere in Spagna nella colonna dei volontari anarchici. Alloggiato nella caserma Bakunin di Barcellona, è impegnato poi sul fronte di Teruel, dove combatte anche Paolo.
Anche Turroni, fuggiasco come Paolo, è costretto a vari spostamenti in Africa, finchè non riesce a giungere a Casablanca e a imbarcarsi per Città del Messico, da dove collabora con l’Adunata.
E’ un intransigente, fortemente polemico verso socialisti e comunisti. Due volte ha presentato un progetto di attentato a Mussolini: la prima volta respinto dagli stessi anarchici, la seconda rimasto incompiuto per difficoltà organizzative.
Per intenderci, è lui che dichiara che dalla caserma Bakunin sarebbe invitante sparare colpi di cannone contro la vicina caserma Karl Marx, occupata dai comunisti.
Si spiega bene allora un passo del suo articolo su Paolo: “la sua concezione dell’anarchismo intransigente e pura fece sì che con i compagni spagnoli si trovasse solo sul terreno dell’azione, condannando risolutamente gli errori e l’opportunismo dei dirigenti delle organizzazioni libertarie”.
Turroni con il suo “elogio funebre” recluta Paolo dalla sua parte nella feroce polemica interna al mondo anarchico, che divide “puri” intransigenti e “opportunisti”, aperti alla collaborazione con gli altri partiti di sinistra.
Polemica che aveva lacerato l’antifascismo in Spagna e che si protrae in seguito, anche all’interno dell’Adunata dei Refrattari.
Non è il caso, qui, di approfondire.
La domanda è: Pio Turroni e il suo gruppo “usano” Paolo e la sua morte o rappresentano veramente il suo pensiero e la sua azione?
Allo stato attuale non è possibile dare una risposta precisa. Non ci sono dubbi, però, che per loro Paolo Antonini è una bandiera da esibire.
A questo si collega un’altra domanda: perché, dopo una lunga permanenza semiclandestina a Casablanca, Paolo non riesce ad imbarcarsi, come desidera, per Città del Messico?
[…] Una fonte anarchica riporta che Paolo fu arrestato nel tentativo di attraversare su un’imbarcazione con altri compagni lo stretto di Gibilterra, per cercare una via di salvezza.
Ultimo, estremo tentativo che gli costerà, dopo qualche giorno, la fucilazione nella prigione di Casablanca.
Sono temi non secondari, che potrebbero forse essere approfonditi solo attraverso la ricerca in archivi stranieri.
Questo mi conduce a un ultimo argomento.
La memoria che di Antonini custodisce la nostra città.
Una cosa, credo, si può affermare con sicurezza.
Chi più di ogni altro ha compreso fino in fondo il valore di Paolo Antonini è stato Fernando Barbaranelli, per profonde ragioni di amicizia, ma non solo.
Nel suo archivio personale è custodita una riproduzione dell’articolo dell’Adunata pubblicato da Ciancarini. Non sappiamo come ne fosse venuto in possesso.
Vi si trovano alcune annotazioni a mano, forse dello stesso Fernando. Tra l’altro vi è sottolineato proprio quel passo della lettera di Turroni, fortemente avverso alla collaborazione tra antifascisti. E’ facile intuire come quelle parole potessero ferire, nel dopoguerra, la sensibilità di un dirigente comunista, che nella sua giovinezza aveva comunque apprezzato alcuni ideali libertari.
Quel passo non scuote minimamente la fiducia e la stima di Fernando verso l’amico Paolo.
Per tutta la sua esistenza Fernando lo propone come il maggior esempio dell’antifascismo cittadino militante: l’eroe di una Resistenza combattuta altrove.
Gli dedica la prima sezione dell’ANPPIA a Civitavecchia, si impegna a fargli intestare una via cittadina, in privato gli dedica anche una commossa poesia.
Siamo fuori tempo massimo per riprendere un discorso?
Con le possibilità di ricerca che oggi offrono le nuove tecnologie nuovi scenari possono essere aperti.
Per questo reputo importante il contributo di Enrico Ciancarini e spero che si possano aggiungere altri tasselli alla conoscenza storica di un concittadino che si è affacciato con la sua azione ben oltre l’orizzonte locale.
Claudio Galiani, Paolo Antonini e la nostra memoria, SpazioLiberoBlog, 26 ottobre 2020