Aprile-Amore ( di Mario Luzi)

È incredibile ch’io ti cerchi in questo
o in altro luogo della terra dove
è molto se possiamo riconoscerci.
Ma è ancora un’età, la mia,
che s’aspetta dagli altri
quello che è in noi oppure non esiste.
L’amore aiuta a vivere, a durare,
l’amore annulla e dà principio. E quando
chi soffre o langue spera, se anche spera,
che un soccorso s’annunci da lontano,
è in lui, un soffio basta a suscitarlo.
Questo ho imparato e dimenticato mille volte,
ora da te mi torna fatto chiaro,
ora prende vivezza e verità.
La mia pena è durare oltre quest’attimo.

Mario Luzi, Primizie del deserto, Schwarz, 1952

Gli anni Cinquanta furono quelli del definitivo riconoscimento del valore di Luzi. “Nessuno come Luzi – ha scritto Zanzotto – ha espresso il senso più profondo di questi anni di speranze deluse, sospinte sempre verso un fantomatico futuro, in un clima di ‘immutabilità del mutamento’ storico-politico”. Quando si giunge alla densa materia di Nel magma (1963), si entra con Luzi nel ciclone dirompente della modernità, nella deflagrazione delle denunce e delle contraddizioni più cocenti. La realtà ha acquistato “valori decisamente infernali”, la metamorfosi è diventata davvero incessante, il ritmo tachicardico. La poesia non basta più: interviene il teatro (Ipazia, Rosales, Histrio, fino a Ceneri e ardori), il mondo si popola di eventi a cui corrispondono più fitte interrogazioni, le strade si allontanano e si riavvicinano in un complessivo scenario percorso attraverso molteplici viaggi (in America, Europa, Cina, India).
Gli ultimi vent’anni della vita di Luzi sono intensissimi. Egli non sa o non può ritrarsi di fronte all’epilogo drammatico del secolo breve. Dall’89 al 2003 il mondo e l’Italia sono impegnati con la fine del comunismo, le due guerre del Golfo, le guerre balcaniche, la crisi ‘ignominiosa’ della prima repubblica, l’11 settembre. Il rischio di suggestioni autoritarie sembra aleggiare sempre più vicino, infatti scriverà: “Non mi riferisco tanto a uomini o forze in ‘agguato’, quanto a quella ‘internazionale del potere’ fatta di mafie, di narcodollari, di crimine, di grandi e oscuri capitali, la quale tende a sovrastare e condizionare la stessa azione dei governi nazionali. Uno stato allo sbando è tanto più esposto al rischio di essere eterodiretto”.
Dai testi di poesia alle traduzioni, dai saggi e dalle recensioni al teatro, dagli interventi militanti alle tante interviste, Luzi si rivela immerso profondamente nel suo tempo. La sua Firenze gli ha fatto il regalo più bello, dedicandogli una lapide che si legge nella basilica di Santa Croce, accanto ai resti immortali di Michelangelo, Galileo, Alfieri e al cenotafio di Dante.
Sergio D’Amaro, Mario Luzi, tra vero e verso, Reti Dedalus