
Dall’altro lato dello schieramento politico l’esempio più significativo di toni antipolitici fu il Partito Radicale sotto la guida carismatica di Marco Pannella nella seconda metà degli anni Settanta. Una serrata critica alla partitocrazia alla quale venivano contrapposti gli esempi di democrazia diretta dei referendum faceva da filo conduttore per un’attività fatta di raccolte di firme, disobbedienza civile, gesti eclatanti e candidature provocatorie <148. Va tuttavia rilevata la grande distanza delle proposte dei radicali, in particolare quelle che coinvolgevano la morale e quelle garantiste in materia giudiziaria, dal tradizionalismo populista. Meno convincente appare la caratterizzazione populista della sinistra nello stesso periodo, in particolare dei gruppi extraparlamentari. Dicendo questo, e richiamandosi a Marc Lazar, Tarchi prende in considerazione la concezione di “popolo” nel maoismo e il fascino dei popoli armati, incorrotti e resistenti del Terzo mondo, a cominciare dall’“eroico popolo vietnamita” <149. In realtà da un analisi più approfondita si vedrebbe che non era una qualche forma di populismo terzomondista o un nuovo mito del “buon selvaggio” a connotare il pensiero di quella che si autodefiniva sinistra rivoluzionaria, bensì un severo schema classista marxiano usato da questa per leggere le lotte del Terzo Mondo, originando spesso delle immagini falsate rispetto alla realtà di quegli eventi.
Marco Tarchi ritiene la “Maggioranza Silenziosa” (rifacendosi come altri alla sola esperienza milanese) l’unico e limitato accenno di un populismo di destra negli anni Settanta: “In realtà, l’ispirazione dell’iniziativa ha poco a che vedere con le tradizionali rivendicazioni populiste. La critica della politica che vi si esprime, e la rivendicazione della volontà popolare che ne è il corollario, sono ispirate da un’unica preoccupazione: farla finita con le violenze dell’ultrasinistra che da tempo turbano, in una guerra per bande con i gruppuscoli neofascisti, l’ordinata vita della città. Solo la protesta contro il disinteresse dei partiti verso le richieste della gente comune che vuol vedere rispettato il proprio diritto a vivere tranquilla ricalca davvero i programmi di quel qualunquismo a cui parte della stampa lo accosta”. <150
Su questa analisi è legittimo dissentire. In primo luogo non fu un fenomeno propriamente di destra, il suo nucleo fondamentale era un richiamo al centrismo e l’atteggiamento nei confronti del fascismo e dei suoi eredi era diverso da gruppo a gruppo. La sua preoccupazione principale non fu tanto l’estrema sinistra ma un PCI con prospettive di governo. In terzo luogo la sua avversione ai partiti, dimostrata a partire dalla diversità delle sue forme organizzative, fu più articolata che non il semplice richiedere un maggiore interesse per le proprie richieste. In definitiva, non può neanche essere definita propriamente populista. Tuttavia appare suggestivo il confronto del concetto di “maggioranza silenziosa” con quello di “popolo” proprio del populismo enunciato da Tarchi. E’ ad esempio interessante la consonanza con le modalità di appartenenza, non «in virtù di una particolare condizione sociale o professionale, ma in seguito alla condivisione di un destino comune: ci si sente popolo, istintivamente, accettando di riconoscersi in un’identità accomunante basata sul sentimento di fratellanza» <151. Allo stesso modo la “maggioranza silenziosa” concepisce se stessa su basi esplicitamente non classiste e di trasversalità o estraneità alle divisioni politiche. Così come sulla condizione di essere silenziosa; un pregio, che però la rende vittima di pochi individui rumorosi. I quali agiscono in danno all’interesse generale, che essa in quanto maggioranza, è legittimamente chiamata a definire. Ma si avvertono differenze già se si guarda ai nemici. Anche la maggioranza silenziosa come il popolo dei populisti si ritiene vittima un po’ di tutti i poteri, giungendo anche a configurare le minacce in una teoria del complotto ai suoi danni, ma oltre ai politici i suoi principali avversari restano i comunisti. Inoltre non si scaglia contro l’establishment economico e i burocrati, coltiva anzi in alcuni casi delle aspirazioni di stampo tecnocratico. Infine, tranne il modello gollista inseguito da Edgardo Sogno e l’opinione personale di Adamo Degli Occhi, non cercò mai un leader carismatico che potesse guidarla alla vittoria, né una figura del genere ebbe modo di emergere nel corso della sua mobilitazione.
Per quel che riguarda l’atteggiamento nei confronti della politica e dei partiti, va rilevato che mentre alcuni gruppi si scagliarono fin dall’inizio contro la partitocrazia <152, altri si presentarono su una posizione dialogante, pur restando ferma l’organizzazione al di sopra e al di là dei movimenti politici.
Alcuni organizzatori continuarono parallelamente la loro militanza all’interno dei partiti <153. Il compito principale doveva infatti essere quello di “svegliare” i partiti di centro-destra impedendogli di fare accordi con il PCI e affinché si unissero sulla base dell’anticomunismo abbandonando la formula di centro-sinistra <154. Quasi subito però le accuse alla classe politica si moltiplicarono mentre la trasversalità ai partiti venne esaltata come il superamento di divisioni considerate artificiose, la più importante individuata fin da subito dal Comitato Cittadino Anticomunista milanese era quella tra fascisti e antifascisti. Tanto che Maurizio Blondet, esagerando un po’, descriveva la maggioranza silenziosa, nella prefazione al libro di «rievocazione» con Luciano Buonocore, come un movimento di gente comune, di massa «che incrinava orizzontalmente la coesione degli apparati politico-burocratici della partitocrazia artificiale, radunava gente prima divisa sotto bandiere diverse, e lo faceva su parole d’ordine non previste dalle truffaldine “regole del gioco” preparate dai vertici per loro tornaconto» <155. Non mancarono quindi le accuse al ceto politico di essere ladro, vile e in definitiva moribondo <156. In rarissimi casi la constatazione del fallimento dei propri stessi tentativi di mobilitazione per scarso interesse e voglia di impegnarsi della gente, fece emergere critiche all’atteggiamento passivo degli italiani. Sulla rivista dell’OCI [Organizzazione Cittadini Indipendenti] “Il Triangolo del lavoro e delle idee” si parlò di una: “ripugnanza dell’elettorato italiano per tutto ciò che è politica, ripugnanza che solo una assurda pigrizia mentale spiega. I nostri uomini politici sono senz’altro una “frana”, ma è soprattutto il totale disinteresse dell’uomo della strada per la cosa pubblica quello che permette loro di essere quelli che sono. Del resto, il calcio e la canzonetta non esprimono davvero gli uomini migliori, eppure i protagonisti degli stadi e del microfono riscuotono la massima attenzione, quando non la idolatria degli italiani”. <157
Interessante è infine valutare l’ostilità ai partiti e all’impegno politico come frutto dell’eccesso di politicizzazione <158.
Il fatto che queste “contromobilitazioni” avvennero a poca distanza dal biennio ’68-’69 e a fronte di un alto numero di scioperi e cortei che segnavano la vita nelle città, soprattutto al centro-nord, è significativo. Tuttavia questo tipo di sentimento antipolitico sembra essere stato molto più forte ed evidente in quella manifestazione “carsica” della maggioranza silenziosa che fu la Marcia dei 40.000 di Torino. Questa maturò proprio nel clima segnato da duri contrasti e intensa politicizzazione della grande fabbrica per eccellenza. Fu avvertita dai simpatizzanti contemporanei come un grido di liberazione, in un mondo che (tanto più negli anni caldi del terrorismo) sembrava schiacciarli e impedirgli di svolgere la loro vita e il loro lavoro tranquilli, in nome di quelle che erano considerate nefaste utopie. Su questa base fu elaborata anche una versione del valore periodizzante di quel 14 Ottobre 1980: la fine di un decennio in cui gli italiani si erano massacrati in nome della politica, il ritorno della realizzazione individuale, della produttività e della competizione come valori della società.
[NOTE]
148 M. Tarchi, L’Italia populista, cit., pp. 109-111
149 Ivi, pp.106-108
150 Ivi, pp.105-106
151 Ivi, p.22
152 E’ il caso della Lega Italia Unita vedi Statuto allegato a Rapporto di fonte fiduciaria datato 4/5/1970, senza intestazione con nota a penna «avuto, nelle vie brevi, dalla Div. AA. RR.» 12/12/72 in f. G5/39/13, ACS, Min. Int., Dip. PS, associazioni 1944-1986
153 Sogno cercò di creare nel 1972 una propria corrente di destra all’interno del PLI, vedi E. Sogno, A. Cazzullo, Testamento di un anticomunista, cit., p.132
154 L. Buonocore, La maggioranza silenziosa e il progetto tecnocratico, Web edition-CSID La destra doctrina, 2007, p.13
155 Ivi, p.2
156 Lotta Europea, n.4/5, Maggio-Giugno 1972, p.12
157 Il Triangolo del lavoro e delle idee, a.III n.1, Gennaio 1971, p.30
158 M. Truffelli, L’ombra della politica, cit., pp.49-50
Alberto Libero Pirro, La “maggioranza silenziosa” nel decennio ’70 fra anticomunismo e antipolitica, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Anno Accademico 2013-2014