A quest’ordine i falsi partigiani come tigri andarono addosso alla preda

Sutrio (UD). Fonte: Wikipedia

I tedeschi, dopo i ripetuti attacchi subiti presso questo paese [Paluzza (UD)], [il 22 luglio 1944] pensando di trovare in paese forte resistenza ed un grosso numero di partigiani, avevano deciso di attaccarlo in forze. A Tolmezzo dove vi era il grosso delle truppe tedesche dislocate in Carnia, si udiva spesso dire: «Paluzza dove stare tutti partigiani». Il paese della Carnia era quindi considerato «zona partigiana» e tutti i suoi cittadini dovevano essere trattati di conseguenza in quanto tutti possibili banditi o loro helfer: “Per fortuna la maggioranza assoluta degli uomini si era data alla montagna, onde sottrarsi al pericolo che li minacciava. Alcuni Ufficiali, tra i quali il capitano Uccelli degli Alpini Italiani, scortati da numerosi soldati armati di fucili automatici, irrompevano nel palazzo municipale ove si trovavano il Podestà, il Segretario Comunale, il Direttore Didattico ed alcuni impiegati. Un tenente della SS tedesca che portava il cappello alpino italiano, investiva urlando, a schiaffi il Podestà e gli spianava contro una pistola. Giungevano frattanto, sul piazzale del Municipio, le persone che, da parte delle pattuglie, veniva prelevata presso le rispettive abitazioni” <79. Verso le 16 il reparto, «ebbro di sangue ed in stato di palese ubriachezza (ubriachi erano anche gli Ufficiali)» <80 lasciò il paese e si diresse, con alcuni ostaggi, verso Tolmezzo. Tra questi ostaggi anche Rodolfo di Centa: “All’improvviso fu dato l’ordine dal maggiore Uccelli: “Prendete ognuno i vostri” ripetuto poi in tedesco dal tenente comandante delle SS. A quest’ordine i falsi partigiani come tigri andarono addosso alla preda, caricando questi uomini feriti e doloranti, dei loro zaini pieni di ciò di cui avevan fatto man bassa” <81.
Anche questa volta lungo la strada verso Tolmezzo, vennero compiute altre violenze e altre retate di civili, dove si contarono numerose vittime innocenti: altri tre uomini furono presi con l’inganno, sempre dalla stessa controbanda, e uccisi <82. Giunti al bivio per Sutrio, il comandante dei finti partigiani con alcuni dei suoi uomini, si portò verso il paese di Sutrio per fare un’altra retata. Camuffati com’erano riuscirono ad ingannare altri cinque uomini.
“Passato un po’ di tempo, circa un’ora, incominciammo a vedere gli sbirri con le loro prede ingannate. Man mano che arrivavano, uno alla volta veniva dato in consegna questa volta all’ufficiale tedesco e ai suoi uomini più vicini. Fu così l’inizio del martirio dei civili di Sutrio, i quali in primo luogo furon “presi a pugni” in viso e in altre parti del corpo fino a grondare sangue. Inoltre a calci finché si afflosciavano come sacchi vuoti. Poi venivano rialzati e presi sotto braccio dagli sgherri e portati verso l’orlo della strada, con il viso verso la scarpata. Infine il tenentino prendeva il mitra d’un suo milite e, puntando l’arma alla nuca, li faceva fuori” <83.
I soldati della controbanda rastrellavano i prigionieri, a Kühnbander, probabile nome del tenente delle SS, spettava il colpo di grazia, mentre il maggiore Uccelli, come ricordò Di Centa, «assisteva impavido alla scena, alla quale non partecipò, ma nemmeno mosse un dito per impedire la barbarie» <84.
La colonna proseguì il suo cammino, tutti in fila indiana, con gli ostaggi caricati di cassette di munizioni e bombe a mano. Arrivati presso «Acquaviva» iniziò la strage degli ostaggi, come ricorda il protagonista Di Centa: “Andando avanti formammo una lunga fila, tanto che noi primi avevamo oltrepassato appena la curva di “Acquaviva” allorché sentii i primi spari un po’ lontani. Questo fu per me il segnale della nostra fine. […] Continuando il cammino, di tanto in tanto sentivo qualche sparo, sempre più vicino. Passata la curva di Noiaris, arrivammo al tunnel. Con un po’ di quiete volli chiedere a quel tale che mi aveva appeso il sacchetto di bombe, il perchè dietro di noi sparassero. Egli mi disse: “Kaputt partigiani”. Allora compresi e del resto l’avevo già intuito, che stavano facendo fuori i miei compagni, iniziando dagli ultimi man mano. […]”.
Quattro <85 ostaggi vennero uccisi quel giorno, finiti con colpo di pistola e scaraventati di volta in volta nel greto del fiume But. Due civili incontrati lungo il cammino fecero la stessa fine <86. Secondo la testimonianza di Di Centa tutti questi furono uccisi sempre dalla controbanda.
I sette ostaggi giunti a Tolmezzo, tra cui lo stesso Rolando Di Centa, furono imprigionati per qualche giorno, e poi liberati. Durante l’operazione di rappresaglia morirono 52 civili.
[NOTE]
79 IFSML-UD, Fondo 7, Fasc. 7, Paluzza, Relazione del Signor Virgilio Candido cit.
80 Ibidem
81 R. Di Centa, Testimone oculare cit., p. 34.
82 G. A. Colonnello, Guerra di Liberazione cit., p. 205. Furono: Straulino Mosè, 29 anni; De Reggi Mario, 46 anni; Nodale Enrico, 47 anni.
83 R. Di Centa, Testimone oculare cit., p. 35.
84 Ivi, p. 36.
85 Erano: Englaro Ernesto (anni 44); Del Bon Osvaldo (anni 32); Gressani Giovanni (anni 32); Pittino Adamo (anni 45); un quinto certo Lazzara Costanzo, ferito gravemente si salvò.
Giorgio Liuzzi, La politica di repressione tedesca nel Litorale Adriatico (1943-1945), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Pisa, 2004

Come rappresaglia per le azioni compiute dai partigiani nel periodo precedente e con lo scopo di togliere al movimento resistenziale la possibilità di trovare ricoveri sicuri e l’appoggio della popolazione della Carnia, una contro-banda composta da SS e da militi fascisti (24 tedeschi e 4-5 italiani appartenenti all’SS Larstwehn-Btl. agli ordini di un maresciallo), travestiti da partigiani, dopo essere transitati per le casere Lanza e Codin e aver ucciso 6 persone che avevano fraternizzato con loro, puntarono verso malga Pramosio, dove giunsero il 21 luglio per poi proseguire verso Paluzza lasciando dietro sé una scia di massacri e devastazioni.
Il giorno seguente giunsero da Tolmezzo una settantina di militari SS-Karstwehr-Btl. comandati dall’SS-Obersturmfuhrer Kuhbandner che fu coadiuvato dal Waffen-Hauptsturmfuhrer der SS Giuseppe Occelli. Sulla strada per Paluzza il reparto uccise un’altra persona mentre il resto del gruppo, dopo aver tratto in inganno diverse persone, si riunì alla banda, proseguendo alla volta di Cercivento, dove furono massacrate altre tre persone. In seguito fu condotto un rastrellamento a Paluzza con azioni di saccheggio e violenze alla popolazione; il reparto prese diversi ostaggi e ripiegò su Tolmezzo compiendo ulteriori efferatezze; altri tre uomini furono presi con l’inganno e uccisi. Molti furono uccisi a Sutrio, dove venne fatta un’altra retata, altri furono finiti con un colpo di pistola e scaraventati nel greto del torrente But in località Aghevive, al ponte di Noiaris e a Piano d’Arta. I sette ostaggi giunti a Tolmezzo furono imprigionati per qualche giorno, e poi liberati. Complessivamente durante l’operazione di rappresaglia morirono 52 persone.
[…]
Estremi e note penali: Procedimento penale contro Giuseppe Occelli
Archivio di Stato di Udine, Fondo Corte d’Assise Straordinaria, busta E.c. 1, Registri delle sentenze 1946, sentenza n. 53 contro Giuseppe Occelli; (fascicolo processuale) Ivi, busta E.d. 12, fascicolo 201/45 «Giuseppe Occelli».
Giuseppe Occelli è stato processato dalla Sezione speciale della Corte d’Assise di Udine l’8 marzo 1946; fu accusato di aver comandato un reparto dell’esercito tedesco in rastrellamento contro le formazioni partigiane in Istria, nel Collio, in Carnia e nel Canal del Ferro; fu accusato di intelligenza col nemico per aver fornito informazioni ai tedeschi sulla disposizione dei reparti italiani a Tarvisio nel settembre 1943; fu imputato di collaborazione politica per aver preso parte ad arresti, perquisizioni, atti di violenza contro patrioti e le popolazioni loro favorevoli ed aver partecipato ed eccidi e saccheggi. Riconosciuto colpevole dei primi due capi d’imputazione fu condannato a 24 anni di reclusione. Con sentenza del 24 ottobre 1946 la Corte di Cassazione dichiarò il reato estinto per amnistia annullando la sentenza senza rinvio.
Tribunale competente: Corte d’Assise Straordinaria di Udine
Annotazioni: Nonostante la gravità e la notorietà del fatto vi sono stime differenti sul numero complessivo delle vittime: se la cifra più citata è quella di 52 vittime (Buvoli et al.), Carnier parla di 46 vittime, Colonnello e Vuga di 54, Toppan di 49.
Fabio Verardo, Episodio di Bivio Noiaris, Sutrio, Udine, Friuli-Venezia Giulia (22 luglio 1944), Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia

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