Per la Seconda Brigata il mese di settembre 1944 significò una lieve diminuzione dell’attività <11 accompagnata da una rapida espansione degli organici. Infatti, stando ai documenti, non meno di 553 uomini risultano essere entrati a far parte dei vari distaccamenti garibaldini durante il mese in questione (e si trattò del dato mensile più elevato in assoluto) <12, anche se bisogna tener conto dei passaggi di volontari da un’unità all’altra. Almeno la metà erano disertori della “San Marco” <13, che andarono a formare il grosso dell’organico di tre distaccamenti, il “Minetto”, poi trasferito nelle Langhe alle dipendenze della 16a Brigata Garibaldi a metà ottobre <14, il “Bruzzone” ed il “Maccari”. Significativa è la quasi totale assenza di disertori della “San Marco” nei ranghi del distaccamento “Calcagno” in questo periodo: da un lato il “distaccamento modello” era già sufficientemente fornito di uomini atti al combattimento, dall’altro il suo accampamento fungeva sovente da centro di smistamento delle nuove reclute verso le altre unità garibaldine. In tal modo la “purezza” ideologica ed etnica (i volontari erano pressoché tutti di Savona, Vado e Quiliano) della “punta di diamante” del partigianato garibaldino savonese si manteneva intatta. Nel complicato e a tratti oscuro quadro della formazione dei nuovi distaccamenti riveste un certo interesse il caso del “Moroni”, che viene citato a partire dall’8 settembre 1944. Questo distaccamento si trasformò ben presto in un’autentica succursale ligure dell’Armata Rossa perché tra il 15 ed il 20 del mese vi furono incorporati ben 22 cittadini sovietici <15, soldati non più giovanissimi che con tutta probabilità servivano controvoglia nella Wehrmacht come Hiwis (Hilfswillige, ossia “volontari” reclutati nei lager in cui a milioni morivano di fame i prigionieri di guerra sovietici). Non si trattava dell’unico distaccamento “internazionalista”: anche il “Revetria” era ben fornito di russi, polacchi e perfino tedeschi ed austriaci antinazisti o più semplicemente stanchi di battersi per qualcosa in cui non credevano <16.
L’attività armata dei garibaldini, pur meno intensa che nel mese precedente a causa dei problemi organizzativi accennati sopra, si mantenne su livelli tali da perpetuare lo stato d’emergenza in tutta la provincia. In più, come vedremo in dettaglio, il raggio d’azione della Seconda Brigata si allargò a raggiera fin verso l’Albenganese, l’Alta Val Tanaro e le Langhe. I primi ad attaccare furono i volontari del neonato distaccamento “Minetto”, che il giorno 2 prelevarono il presidio “San Marco” di Pietra Ligure (19 uomini) con tutte le armi in dotazione <17, e i veterani del “Calcagno”, che ai primi del mese <18 piombarono di sorpresa con quattro squadre sul Semaforo di Capo Noli, ottenendo la resa di sedici “marò” e recuperando un ingente quantitativo di materiale. Tre giorni dopo il Comando Brigata corse un rischio gravissimo in seguito ad un’improvvisa puntata nemica. In piena notte un forte contingente misto (forse 200 uomini, probabilmente di meno) composto da SS e Feldgrau (polizia militare tedesca) con cani poliziotto scese furtivamente dalla cima del Settepani nel tentativo di sorprendere il Comando acquartierato presso la base del distaccamento “Maccari”, nelle vicinanze del paese di Osiglia, ma non riuscì ad eliminare le due sentinelle senza far uso delle armi da fuoco, e ciò consentì ai garibaldini di battere rapidamente in ritirata senza ulteriori perdite, ripiegando sul campo del “Nino Bori” dopo una lunga marcia di trasferimento <19. Anche il “Revetria” sfuggì ad un rastrellamento compiuto dagli “Arditi” della “San Marco”, che ne incendiarono l’accampamento; poco dopo, rinforzato dalla squadra GAP del Comando Brigata, il distaccamento passò al contrattacco infliggendo serie perdite al nemico in ritirata20. Entrambe le puntate nazifasciste erano ispirate ad una nuova dottrina della controguerriglia che prevedeva attacchi limitati ma improvvisi e frequenti in luogo di grandi rastrellamenti condotti con forze preponderanti ma poco mobili21. In realtà la lotta antipartigiana fu poi condotta applicando di volta in volta il sistema più adatto in relazione all’importanza dell’obiettivo e alle forze a disposizione dei rastrellatori. Il 10 agosto un importante successo fu riportato dal “Giacosa”, che si impadronì di una polveriera tra Millesimo e Cengio catturando ben 43 “marò” e rastrellando armi e munizioni in quantità <22. Il giorno successivo vide all’attacco il distaccamento “Bruzzone”, che guidato da “Ernesto” (Gino De Marco) e “Gelo” (Angelo Miniati) assaltò una postazione tedesca a Nucetto, in Val Tanaro, uccidendo due soldati <23. Il 14 fallì un attacco portato dal distaccamento “Rebagliati” contro il presidio di Calice Ligure <24: rimase sul terreno il partigiano “Falco” (Franco Leonardi, romano, classe 1925 <25).
Proprio a Calice era acquartierata la Controbanda della “San Marco”, un reparto specializzato nella repressione antipartigiana alle dipendenze del III° Battaglione del VI° Reggimento. Si trattava inizialmente di un centinaio di “marò”, scelti tra i più decisi e fanatici e comandati dal tenente Costanzo Lunardini coadiuvato dal sottotenente Fracassi <26. Armati ed addestrati in modo eccellente, gli uomini della Controbanda di Calice iniziarono subito un serrato duello con i garibaldini locali e in particolar modo con il distaccamento “Rebagliati”, che a più riprese pagò a caro prezzo la ferocia e l’astuzia di questi commandos, usi ad ogni atrocità e più volte travestiti da partigiani per ingannare i civili. Il triangolo Finale – Melogno – Monte Alto divenne così uno dei punti focali della guerra civile nel Savonese.
A metà settembre la 34a Divisione della Wehrmacht, che da un anno occupava la provincia, fu avviata al fronte delle Alpi Marittime e sostituita da reparti della 148a Divisione tedesca di fanteria, provata dai combattimenti sostenuti per trattenere gli Alleati sul confine franco – italiano. Stato Maggiore e Comando della 148a divisione furono posti a Cairo Montenotte <27. Nello stesso periodo la Seconda Brigata risultava schierata su undici distaccamenti, così disposti: 1) il “Calcagno” operava a raggiera dalla zona di Vezzi Portio verso la costa tra Vado e Finale; 2) l’”Astengo” controllava la zona montana tra Castelnuovo di Ceva e Montezemolo; 3) il “Revetria” si occupava della direttrice Melogno – Calizzano – Garessio; 4) il “Rebagliati” concentrava la sua azione di guerriglia su Rialto, Calice, Melogno e Bardino partendo da Pian dei Corsi; 5) la zona d’operazione del “Giacosa” era compresa tra Osiglia e Cengio, lungo la Bormida di Millesimo; 6) il “Bori” era situato a cavallo tra Tanaro e Bormida, da Murialdo a Massimino; 7) il “Maccari”, vicinissimo al “Calcagno”, agiva di preferenza verso Mallare, Altare e Bormida; 8) il “Minetto” si trovava accanto all’”Astengo”, operando su Roccavignale e Cengio, all’estremità settentrionale dello schieramento garibaldino savonese; 9) il “Moroni” si batteva nel triangolo Bormida – Carcare – Cosseria; 10) il “Bruzzone” colpiva in Val Tanaro tra Nucetto e Priero; 11) l’”Ines Negri” faceva perno su Monte Carmo e controllava i monti sopra Loano, Pietra Ligure e Borghetto28. Un dodicesimo distaccamento, il “Torcello”, avrebbe presto compiuto le sue prime azioni nell’impervio settore compreso tra Toirano, Bardineto e Castelvecchio di Rocca Barbena <29. Isolati all’estremo opposto dello schieramento, e indipendenti de facto e de iure dal Comando Brigata, il “Sambolino” e il “Wuillermin” vivevano gomito a gomito con gli autonomi di “Bacchetta” nella zona di Montenotte – Pontinvrea – Giusvalla. La forza complessiva dei distaccamenti garibaldini raggiungeva ormai le novecento unità -30.
Una nuova serie di “colpi” riusciti accompagnò verso la fine di settembre la profonda riorganizzazione realizzata in campo garibaldino con la nascita della Quarta, Quinta e Sesta Brigata. Il giorno 18 il distaccamento “Ines Negri” costrinse alla resa nei pressi di Bardineto 23 “marò”, che entrarono più o meno di loro spontanea volontà nei ranghi dei garibaldini -31. Nelle due settimane seguenti un continuo crescendo di imboscate ed attacchi, talora preceduti da taciti accordi, portò alla cattura o alla diserzione di ben 66 militari della “San Marco” -32, evidentemente poco inclini a difendersi efficacemente da un nemico che appariva e scompariva a suo piacimento. Da Mallare al Melogno, da Murialdo alla Valle di Vado l’estensione del controllo partigiano era una realtà tangibile, cui i tedeschi, colti dal timore di essere presi fra tre fuochi (gli Alleati in Costa Azzurra e in Versilia, che potevano sfondare da un momento all’altro, e i partigiani alle spalle), non potevano per il momento rispondere che con i cartelli “Bandengebiet” affissi all’imbocco delle statali verso il Piemonte -33. La crescente audacia delle azioni garibaldine è testimoniata dagli obiettivi, non più solo colonne e postazioni isolate, ma anche presidi di fondovalle muniti e fortificati. Il 23 settembre una squadra del “Moroni” capitanata da “Toni” (il vadese Lorenzo Caviglia) catturò gli uomini di guardia ai ponti stradale e ferroviario di Altare (sede del comando divisionale della “San Marco”), poi, avvalendosi della collaborazione di due “marò”, saccheggiò una riservetta di armi e munizioni -34. Subito dopo si mise in luce a più riprese il distaccamento “Ines Negri”, che nel giro di una settimana attaccò un camion tedesco sulla via Aurelia tra Loano ed Albenga, assaltò e sabotò una postazione antisbarco a Borghetto Santo Spirito catturando sette marinai della RSI, riuscì ad occupare per alcune ore il paese di Balestrino salvo poi esserne cacciato dai tedeschi perdendo tutti i 21 “marò” fatti prigionieri ed aggredì una forte colonna tedesca in marcia presso Bardineto -35. Anche il “Rebagliati” dovette battersi, il 29 settembre, contro una colonna di “marò” che risaliva la strada del Melogno in cerca di due soldati catturati dai partigiani: nello scontro restò ucciso il tenente che guidava i repubblicani -36. In aggiunta a tutto ciò, sempre in settembre i garibaldini eliminarono il commissario prefettizio di Roccavignale, Guglielmo Ghione, e il vicedirettore della Cokitalia di San Giuseppe di Cairo, ingegnere Giuseppe Viani -37. Quest’ultimo episodio, per nulla pubblicizzato dalla locale storiografia resistenziale -38, è riconducibile al filone della lotta di classe come elemento pur sempre centrale, al di là della tattica comunista del momento, nella Resistenza garibaldina savonese, permeata di cultura operaista.
Il prezzo pagato per questi innegabili successi fu ancora una volta elevato. Il 19 settembre, a Borgio Verezzi, furono fucilati sette “marò” catturati dai loro camerati mentre si accingevano a raggiungere le formazioni partigiane in base ad accordi intercorsi in precedenza -39. Il 24, a Castelnuovo di Ceva, caddero in un’imboscata tre garibaldini tra cui “Lauri” (Oscar Antibo), Intendente di Brigata. Quest’ultimo, ferito, fu incarcerato e in seguito, mutilato di una gamba, fucilato a Cravasco il 23 marzo dopo essere stato a più riprese sul punto di essere liberato in seguito a scambi di prigionieri. Gli altri due, “Mito” (Nino Satanino) e “Veloce” (Giovanni Rossetto), furono trucidati al comando tedesco di Montezemolo insieme a “Mirko” (Pietro Zavattaro), arrestato qualche tempo prima. I cadaveri vennero esposti per strada, le automobili di passaggio costrette a passarvi sopra in segno di disprezzo <40. Infine, il giorno 29, a Biestro, tra Carcare e Millesimo, furono massacrati dalle SS dopo brutali torture cinque garibaldini del distaccamento “Moroni”, Mario Tagliafico, Luigi Gaggero, Armando Ferraro, Giuseppe Castiglia e Giacomo Ferrando, tutti originari degli immediati dintorni <41. In risposta a questo episodio, i garibaldini decisero pochi giorni dopo di liquidare venti SS catturate nelle ultime settimane, pubblicizzando il fatto con un volantino ad hoc che rivendicava il diritto di ribattere colpo su colpo alla violenza del nemico <42. Non è un caso che gli ultimi due eccidi citati si siano avuti nelle vicinanze della strada statale Savona – Torino, dove più occhiuta e feroce era la vigilanza dei forti presidi tedeschi e repubblicani.
[NOTE]
- R. Badarello – E. De Vincenzi, op. cit., p. 128.
- Miei calcoli estrapolati da M. Calvo, op. cit.
- Come sopra.
- M. Calvo, op. cit., p. 95.
- Vedi M. Calvo, op. cit., pp. 125 – 129.
- Vedi Ibidem, pp. 113 – 117.
- Ibidem, p. 65.
- La data è incerta, ma sicuramente anteriore al 7: vedi M. Savoini “Benzolo”, op. cit., p. 98. La data dell’11 settembre riportata in F. Pellero, Diario garibaldino…cit., p. 31 è errata, tanto più che altri testi riportano la data del 1° settembre.
- Cfr. G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, p. 189, e R. Badarello – E. De Vincenzi, op. cit., pp. 134 – 135.
- G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, p. 189.
- Ibidem, ed. 1985, vol. II, p. 189.
- Ibidem, ed. 1985, vol. II, p. 194.
- Ibidem, ed. 1985, vol. II, p. 194.
- F. Pellero, Diario garibaldino…cit., pp. 33 – 34. Altri testi riportano la data, probabilmente errata, del 1° settembre.
- G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, p. 194.
- M. Calvo, op. cit., p.395.
- R. Badarello – E. De Vincenzi, op. cit., pp. 132 – 133.
- M. Calvo, op.cit., p. 66.
- Ibidem, p. 65.
- Una vivace narrazione delle sue vicende belliche si trova in E. De Vincenzi, O bella ciao…cit.
- Mia stima basata su dati contenuti in M. Calvo, op. cit.
- M. Calvo, op. cit., p. 66.
- G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, p. 195.
- Ibidem, ed. 1985, vol. II, p. 192.
- Cfr Ibidem, ed. 1985, vol. II, p. 195, e M. Calvo, op. cit., p. 66.
- G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, pp. 195 – 196.
- Ibidem, ed. 1985, vol. II, p. 196.
- N. De Marco – R. Aiolfi, op. cit., p. 110.
- Solo il testo sopra citato vi accenna telegraficamente.
- Cfr. R. Badarello – E. De Vincenzi, op. cit., pp. 120 – 121 e M. Calvo, op. cit., p. 395.
- Cfr. M. Calvo, op. cit., p. 66 e N. De Marco – R. Aiolfi, op. cit., p. 110.
- Cfr. M. Calvo, op. cit., p. 139 e N. De Marco – R. Aiolfi, op. cit., p.110.
Stefano d’Adamo, Savona Bandengebiet. La rivolta di una provincia ligure (1943-1945), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999-2000