A Camposanto (MO), nonostante alcune difficoltà iniziali, nella primavera del 1944 ci sono una decina di resistenti

Cavezzo (MO). Fonte: Comune di Cavezzo
Camposanto (MO). Foto: Claudio Pedrazzi. Fonte: Wikipedia

L’organizzazione militare, come abbiamo già visto, viene impiantata nell’autunno-inverno del 1943 con la costituzione dei primi G.A.P. (Concordia e San Possidonio prima, poi Cavezzo) che hanno una struttura e comandi a base territoriale che fanno capo alla direzione politica del P.C.I. (talchè a questa data si può parlare di veri e propri gruppi armati del P.C.I.).
Nella primavera del 1944, con l’assunzione del comando provinciale dei G.A.P. da parte di Italo Scalambra «Gino», viene costituito il comando militare della «Bassa» e nominato il comandante e il commissario dei G.A.P. della zona (ancora la «dimensione» politica è la stessa, la base invece comincia ad allargarsi). Questa organizzazione e queste strutture restarono senza mutamenti apprezzabili fino a quando gli avvenimenti militari sui fronti di guerra, il movimento di massa e l’afflusso di numerosi combattenti nelle formazioni G.A.P. non impongono nell’agosto del ’44 una diversa articolazione delle forze più corrispondente agli obbiettivi e ai compiti del movimento di liberazione.
A questo punto dello sviluppo e della crescita del movimento e delle forze combattenti, e a seguito delle disposizioni diramate il 14-7-44 dal C.L.N.A.I. comincia anche nella Bassa l’organizzazione delle S.A.P. che avranno una loro struttura e un loro comando autonomo nell’ambito e all’interno della direzione politica militare della zona. La loro consistenza in questo primo periodo non è facile da valutare e l’unico dato dell’epoca al quale riferirsi è quello che ci viene indicato da Giorgio Amendola che parla per la provincia di Modena di 700 unità S.A.P. nel mese di agosto 1944.
Questa organizzazione militare e questa struttura dei GAP e delle SAP opererà nella II zona fino al febbraio 1945, allorchè, dando un assetto anche formale alla unificazione delle formazioni operanti nella «Bassa», venne costituita la 14a Brigata Garibaldi «Remo» (32) 3 comprendente sia i GAP sia le SAP, articolata in 5 Battaglioni che coprivano altrettanti settori del territorio e precisamente:
1) Mirandola: Battaglione «Pecorari».
2) Concordia – S. Possidonio: Battaglione «Carlo».
3) Cavezzo: Battaglione «Damasco».
4) S. Prospero: Battaglione «Ones».
5) Camposanto – Medolla – S. Felice – Finale E.: Battaglione «Omero».
Per consentire un raffronto omogeneo dei dati, adotteremo questa articolazione fin dall’aprile 1944, quando ancora non si parlava di battaglioni nè di brigata: solo in tal modo infatti sarà possibile seguire il reale sviluppo del movimento.
Cominciamo con la zona di Concordia-S. Possidonio dove, sin dall’inizio e per tutta la durata della guerra di liberazione, il movimento ha una consistenza di gran lunga maggiore rispetto ad altri settori della Bassa. Le cifre ufficiali relative alle forze qui dislocate dichiarano – alla data del 30 aprile 1944 – circa 100 uomini. Infatti durante le nostre ricerche siamo riusciti ad acquisire con sufficiente sicurezza i seguenti dati: nella zona Concordia-Villanova esistette un gruppo di giovani che si raccoglie attorno a Savio Roveda e che era entrato in possesso delle prime armi alla fine del 1943; la sua consistenza non supera le 20 unità. A Molin di Mezzo c’è un altro gruppo, di circa dieci unità, il cui armamento è scarso. A San Giovanni il gruppo di Giuseppe Tanferri (Paride), in cui sono presenti molti «politici», assomma a una ventina di uomini, dei quali peraltro solo la metà può essere impiegata in combattimento. A Vallalta il gruppo Salvarani Gandini – Ghelfi dispone di circa 15 uomini, ancora insufficientemente armati. A S. Caterina è operante il gruppo costituito da Ilvo Mazzali, Asiago Tanferri e Rino Gasperini (Aldo) che può contare su circa 12 uomini, di cui la metà armata. Nei tre nuclei di S. Possidonio (Centro, Forcello, Bellaria), comprendendo anche i membri del CLN, si hanno in totale non più di 20 uomini; di cui, solo la metà dispone di armi (e quando si parla di «armi», in rapporto a questo periodo, si deve intendere il più delle volte vecchie pistole, moschetti malandati, persino qualche fucile da caccia!). Risultano circa 100 uomini, dei quali però, a causa della mancanza di armi, non più di
30/40 possono essere impiegati contemporaneamente in azioni militari. A Mirandola sono conteggiati ufficialmente, sempre alla fine d’aprile del ’44, 38 uomini. Non esistono dei gruppi armati (ossia, per il momento, i GAP) se non a S.
Giacomo Roncole (Luigi Nardo con 4 uomini), e a Quarantoli (Aldo Bertacchini con forza pressochè uguale). Nel comune di Mirandola sono circa 30 gli uomini, che lavorano in modo più o meno organizzato per la Resistenza; alcuni dispongono di armamento individuale, ma non sono organizzati come forza di combattimento: in totale, s’è detto, una trentina di uomini (di cui 10 gappisti). Per gli altri comuni i dati sono ancora più difficili da ricostruire, anche per la mancanza di precise testimonianze di militanti che, essendo presenti fin dal principio, siano quindi in grado di ricostruire con sicurezza questi dati. A San Prospero e Medolla non si può parlare per il momento di nuclei armati, anche se un piccolo gruppo di circa 5-6 uomini in possesso di armi stabilisce dei contatti con elementi di Concordia e di Cavezzo; tuttavia si possono contare dieci uomini a S. Prospero e 8 a Medolla. A Camposanto, nonostante alcune difficoltà iniziali, nella primavera del 1944 ci sono una decina di resistenti; nella zona di S. Felice, Finale E. e Massa Finalese non troviamo, più di 15 resistenti impegnati; in tutti i tre comuni le possibilità operative sono inesistenti, in quanto non si tratta di gruppi armati e pronti allo scontro.
Su di un piano sostanzialmente diverso si pone la situazione di Cavezzo: qui il collegamento con il movimento politico antifascista prima ancora dell’8 settembre e la presenza di esponenti locali nella direzione di zona del movimento avevano prodotto risultati non dissimili da quelli realizzati a Coticordia e a San Possidonio per quanto riguarda la penetrazione politica e la estensione della organizzazione militare. Ufficialmente risultano 37 gli uomini attivi; a noi sono risultati in minor numero, ma certamente circa 30, di cui la metà armati, e in grado di partecipare intensamente alle attività dei GAP sin dalla primavera-estate del 1944. Complessivamente le cifre ufficiali assommano 238 uomini, mentre i risultati delle nostre ricerche hanno ridimensionato questa cifra. Abbiamo trovato circa 100 uomini a Concordia-S. Possidonio (di cui circa 30-40 armati); 25 a Mirandola (con due soli GAP), di cui circa la metà poteva essere impiegata in azioni; 30 a Cavezzo, con armamento però solo per metà; circa 25 nel Finalese e a Camposanto-S. Felice; 10 a Medolla e 8 a S. Prospero. In totale si hanno 198 uomini circa. Le differenze con i dati ufficiali sono notevoli; ma, se confrontiamo anche questa cifra ridimensionata con i dati relativi alla consistenza dei nuclei nell’autunno del 1943 (che non vanno oltre i 50-60 uomini, con armamento inesistente o quasi) i progressi sono notevolissimi.
Per comodità del lettore riportiamo, a riepilogo di questo nostro discorso, i dati che ci è parso di poter definire sulla base di una rilevazione «critica» delle forze della Resistenza alla data del 30 aprile 1944.
Concorda – S. Possidonio 100 uomini
Cavezzo 30 »
Mirandola 25 »
S. Prospero 10 »
Camposanto 10 »
Medolla 8 »
S. Felice – Finale E. – Massa Finalese 15 »
In totale 198 »
La lotta armata si afferma.
I primi gruppi armati della Resistenza italiana sono i GAP (Gruppi di Azione Patriottica): si tratta di piccoli nuclei, costituiti da pochi elementi particolarmente addestrati per compiere audaci colpi di mano, impiegati prevalentemente nella guerriglia di città come un elemento di avanguardia che però – è stato giustamente rilevato – non poteva «esaurire l’orizzonte della lotta», e alle cui azioni dunque era necessario «collegare più saldamente la spinta delle masse popolari, riprendendo l’offensiva della classe operaia» (33). Nella lotta di pianura questi nuclei si trasformarono spesso in unità più numerose (e quindi meno agili), anche perché non era qui possibile condurre sistematicamente azioni
militari basate, in linea di massima, sull’attentato terroristico fulmineamente realizzato tipico della guerriglia urbana: occorreva spesso invece uno sforzo prolungato, per cui il numero dei componenti di un GAP, anche se variava con estrema facilità, non scendeva mai al di sotto delle 5-7 unità, spesso anzi era superiore.
La reazione dell’opinione pubblica di fronte alle prime azioni partigiane nella Bassa dimostra una certa confusione, ma soprattutto, lo stupore della popolazione: come, ad esempio, quando fu attaccata la casa del delatore Jori: non ritenendo possibile che uomini del posto avessero avuto la capacità e la forza di compiere una impresa «partigiana», le voci ingenue della fantasia popolare (oltretutto ampliando di gran lunga le reali dimensioni dell’episodio) parlano di decine di uomini venuti dalla montagna armati di tutto punto, con camions e motociclette. Queste «versioni», propalate sottovoce da molti, che naturalmente hanno «visto e ascoltato di persona», giovano comunque nella loro ingenua erroneità ad accrescere il prestigio del movimento partigiano in generale, facendolo capace di forze e mezzi bn superiori a quelli di cui disponeva.
Ma altre voci, meno ingenue ma assai pericolose, si levano da ambienti «ben pensanti» e parlano di errore, di autolesionismo, di rottura di una situazione di relativa tranquillità con prevedibili gravi conseguenze per la grande massa della popolazione: a queste voci «moderate» molte volte faranno poi un riferimento scopertamente ricattatorio i fascisti, nel tentativo di contrastare il crescente appoggio della popolazione al movimento. Secondo questi ambienti la guerriglia doveva restare in montagna; si dovevano attaccare i soli obiettivi militari; e soprattutto occorreva usare «moderazione»!
[…] Le difficoltà logistico-militari innanzitutto, derivanti dalla «geografia» della Bassa, cioè di un territorio strategicamente importante per il nemico e nello stesso tempo privo di ogni riparo naturale per i combattenti della Resistenza (montagne, boschi, grossi centri urbani), costituiscono uno degli ostacoli che può essere, come sarà, superato, anche se parzialmente, soltanto con l’appoggio massiccio della popolazione: e infatti anche in rapporto con tale problema si rivelerà la saldezza dell’alleanza tra movimento partigiano e masse contadine che sarà uno dei termini più probanti di verifica della capacità di penetrazione della Resistenza «politica».
Le armi, del tutto insufficienti, all’inizio vengono fatte circolare tra i vari gruppi; certe armi automatiche, come il mitra, si vedono solo verso la fine del mese di maggio del ’44, anzi uno di questi circolò a lungo nella Bassa da GAP a GAP (con notevole effetto di incoraggiamento dei combattenti), secondo le necessità di impiego che si prospettavano di volta in volta; l’uso degli esplosivi è agli inizi ostacolato per le difficoltà dell’impiego da parte di elementi non ben esperti. Ci sono poi questioni relative alla formazione dei quadri ed alla loro preparazione al comando dei gruppi: si tratta di carenze di addestramento che causano all’inizio non poche difficoltà nello svolgimento delle azioni militari. Non manca ai GAP la mobilità degli spostamenti che la conoscenza dei luoghi e la disponibilità di alcuni mezzi di trasporto rendono possibile. Mobilità e sorpresa sono le caratteristiche più rimarchevoli delle formazioni; ad esse vanno aggiunti una notevole autodisciplina e il rispetto delle direttive: a tale riguardo c’è da rilevare che la coesione tra quadri e base costituirà sempre un elemento di fondamentale importanza nella vita delle formazioni partigiane. Sul piano politico non bisogna dimenticare anche il contributo unitario che viene dato nella lotta armata; questa infatti si sta esprimendo come momento unitario di tutte le forze della Resistenza: tra dibattiti e pareri talvolta discordanti, ma mai radicalmente contrastanti, si opera sempre però in direzione dell’obiettivo finale. Non mancano tuttavia di manifestarsi nel movimento, anche in questo periodo, con variegazioni e con sfumature più o meno accentuate, posizioni diverse sulla lotta armata e soprattutto sui problemi concernenti il modo di condurla. Sono atteggiamenti che riprendono, ovviamente con toni e forme nuove, posizioni e pensieri già espressi al tempo del dibattito generale sulla opportunità o sulla possibilità della lotta armata in pianura. Le posizioni di maggiore cautela, o forse di minore slancio, verso la lotta armata di pianura vengono da ambienti di democrazia borghese e da certi nuclei
riformistici. Coloro invece che più di tutti si impegnano in questa direzione sono i comunisti che proprio, per questo nella primavera del 1944, prima della grande stagione delle lotte nella campagna, hanno già compiuto enormi passi avanti nella conquista di una posizione di guida politica delle forze antifasciste attivamente impegnate.
Con questi avvenimenti militari e con queste novità sul piano della vita interna del movimento si chiude nella nostra zona la prima fase della Resistenza: dalle attività sotterranee dei gruppi clandestini siamo giunti alle attività propagandistiche che hanno fatto conoscere il movimento; siamo passati da piccoli nuclei scarsamente collegati a una solida ed ampia rete clandestina, ad organismi vivi; ma dobbiamo ancora uscire da una cerchia troppo «di avanguardia» per divenire lotta di massa, lotta di popolo. Ci vorrà per questo la grande svolta dell’estate del 1944.
[NOTE]
(32) La denominazione della brigata derivò – come per quasi tutte le brigate partigiane – dal nome di battaglia di uno dei primi Caduti della Resistenza: in questo caso si trattava di Isolino Roversi, di Concordia, e non di Remo Brunatti («Bruni») come in alcune pubblicazioni erroneamente è detto.
(33) R. Battaglia, cit., p. 185.
F. CanovaO. GelminiA. Mattioli, Lotta di liberazione nella Bassa Modenese, a cura dell’A.N.P.I di Modena, 1974